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Giovedì, 25 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Il declino dello spazio pubblico

C'è sempre, puntualmente, qualcuno che confonde le acque: la libertà è un concetto vagamente militare, roba che si conquista, di cui ci si appropria, che finisce quando comincia quella di cui si è appropriato in esclusiva qualcun altro, e via delirando. Lo stesso concetto piuttosto rudimentale, nonostante tutto, che ha guidato le prime benintenzionate ricerche di cosiddetti spazi difendibili: se uno spazio è mio, lo curo, se non è mio non è di nessuno e qualcuno prima o poi se ne approprierà, magari per usarlo contro di me. Quegli spazi difendibili così, nati da un'idea tanto privatistica di libertà, hanno finito per diventare una specie di estensione dell'appartamento, anziché una sorta di camera di decompressione fra questo e la città, tra il nucleo familiare e la società.

Arriviamo così ai nostri giorni, quelli dell'urbanizzazione rampante, anche per nobilissimi motivi: la città è resiliente per il clima, la città consuma meno energia, la città è il luogo dei diritti e delle relazioni. Però chissà perché nei nuovi (o vecchi rinnovati) quartieri urbani la fanno sempre più da padrone certi trucchetti inventati nel remoto suburbio individualista delle casette senza piazza, dei centri commerciali dove chi non consuma non è gradito. 

Nel suburbio, o peggio nel paesino leghista ed esclusivo, ci si protegge da tutto ciò che viene avvertito come esterno cancellando lo spazio pubblico. Nella città questo non è possibile, e allora lo si privatizza con vari metodi, dalle striscianti barriere architettoniche mirate, alle implicite regole di ammissione basate sul decoro o lo stile di comportamento.

Sono tantissime le tecniche, a volte accettate un po' da tutti senza pensarci troppo, per escludere dalla città e dalla società: basta non offrire alcuna ombra a un grande spazio, ed ecco che nella calura estiva si sarà già prodotto il vuoto lì sotto il sole a picco senza alcun riparo; basta far sì che la sola sosta, la sola esitazione a “circolare” diventi un ostacolo al flusso della folla, per impedire socializzazione, espressione, dialogo. E la domanda suona allora: è possibile che una città, una metropoli del terzo millennio, sia al tempo stesso bella e giusta, stimolante e sicura, senza ricorrere a questa amputazione di un diritto fondativo?

Il declino dello spazio pubblico

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