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Giovedì, 25 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

La delega dell'architetto

Uno dei leggendari protagonisti nella fondazione dell'immagine dell'architetto moderno, lontano anni luce dall'artista sognante dell'era tradizionale, è stato Daniel H. Burnham. Professionista formato all'École des Beaux-Arts parigina ottocentesca ma saldamente ancorato alla ruspanza concorrenziale sul terreno della sua Chicago prima e più in generale delle città americane poi. Tra le citazioni che lo riguardano due spiccano su tutte: prima certamente «Un grande progetto deve saper rimescolare il sangue nelle vene» ma poi anche e soprattutto «L'unico modo per gestire un grande progetto è delegare, delegare, delegare». Lette in prospettiva entrambe le frasi celebri considerate insieme dicono moltissimo su ciò che si sta delineando nel passaggio da fine XIX a primo XX secolo: l'ex intellettuale cortigiano del principe diventato imprenditore (di sé stesso ma non solo) che capisce la grande complessità della sfida nelle moderne trasformazioni urbane e la necessità di un salto qualitativo e sostanziale che pur conservando nella sostanza e nell'immagine il controllo del processo lo diluisce e appunto «delega» ad altri operatori specializzati spesso del tutto ignari del ruolo di rotella nel grande ingranaggio.

E quali enormi sfide sono l'invenzione di fatto del grattacielo come simbolo e landmark urbano di cui il Flatiron di New York è ancora oggi dopo un secolo abbondante durevole incarnazione. Di cui Burnham ha ovviamente l'intuizione progettuale, di sfruttamento del luogo delle forme delle possibilità tecniche e del committente, ma di cui poi lascia volentieri ogni specifica ad altri. Come aveva fatto tanti anni prima con l'organizzazione dell'evento Fiera Colombiana e la iconica effimera White City degli spazi espositivi, orgogliosamente firmata da tantissimi pur prestigiosi e brillanti e visibilissimi altri architetti di cui però fuori dalle storie dell'arte o locali si perde traccia. Come fa con l'incredibile Piano di Chicago 1909 autentico capolavoro di delega, componendo uno straordinario patchwork di progettualità altrui, shakerate prima dall'opera di un pittore post-impressionista di scuola francese, e poi da un piazzista porta a porta inventore di fatto della partecipazione urbanistica moderna. A cui viene addirittura «delegato di rimescolare il sangue nelle vene» dei cittadini che quell'idea-pactchwork dovranno tradurla in realtà conferendole forme tangibili sempre genialmente delegate dall'architetto. Che mantiene un copyright certo quanto distillato e come diremmo oggi smaterializzato.

Ripensavo a quelle geniali intuizioni professionali ottocentesche guardando la clip in cui il designer architetto urbanista Stefano Boeri in occasione del Salone del Mobile presenta la sua idea di «Panchina per chi ha una casa e per chi non ce l’ha» ritagliandosi per l'occasione un ruolo che in altri tempi sarebbe andato a pennello a un Buster Keaton. Un progetto del suo studio che consiste appunto in una panchina, lunga a sufficienza per potercisi sdraiare e dotata di braccioli ripiegabili ergonomici, nonché di un altrettanto ripiegabile tettuccio per proteggersi da precipitazioni varie, dagli aghi di pino alle gocce di pioggia alle cacche di piccione. Anche lo scenario in cui si svolge l'azione è progettato, dal fondo di foglie finte di plastica, al muro di cinta del carcere cellulare di San Vittore che fa da sfondo con tanto di operaio delle manutenzioni in discreto movimento, al cielo urbano associato nel design. Per gli altri, tutti gli altri, la delega (a commissionare l'oggetto, a pensare alle questioni sociali che in qualche modo evoca quell'accenno alla «casa» del titolo, addirittura a riflettere sul ruolo dello spazio pubblico inclusivo dentro le trasformazioni del lavoro o della Città dei Quindici Minuti). Ma il copyright della pensata, del sedile in stecche di legno però bisognava idearlo, resta saldo nelle mani dell'architetto moderno o postmoderno che sia. Quanto rimescolamento Mr. Burnham!

La panchina di Boeri per chi ha una casa e per chi non ce l'ha

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