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Venerdì, 29 Marzo 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Demotorizzazione? Magari dalla prossima generazione

Cosa significa, oggi, il veicolo a motore privato? Per provare a capirlo, un modo molto semplice ed efficace è quello di provare a farsi una passeggiata in una nostra qualunque città, e guardarlo dal di fuori, questo mondo, di cui standoci dentro spesso non si avverte neppure l'esistenza. Chi coltiva l'idea che quasi mezzo secolo di iniziative variamente «ecologico-pedonali» del tipo delle domeniche senza auto, delle infinite Ztl o delle più recenti Visione Zero abbia lasciato vistose tracce, dovrebbe rapidamente ricredersi, facendo questo tipo di ricognizione critica urbana (e ancor di più suburbana): la scatoletta di lamiera su quattro ruote pervade l'atmosfera e le sensibilità molto più di quanto non inquini l'aria che respiriamo, che già non è poco. Comportamenti, stili di vita, immaginario quotidiano, addirittura gerarchie sociali, tutto sta immerso dentro l'universo auto-centrico, bollando le pur tollerate digressioni di stravaganza, povertà che aspira a scomparire, emarginazione cronica.

Basterebbe la stessa nota sportiveggiante e identitaria assunta dal ciclismo organizzato delle associazioni e lobby varie, proprio quelli che si pongono come «alternativa al predominio dell'auto», a sancire quello stato delle cose. Perché anche in un paese come l'Italia, con una tradizione di mobilità dolce locale che in tante città e cittadine di pianura non è mai venuta meno, neppure nelle rampanti ultime generazioni della motorizzazione di massa, il ciclismo debba presentarsi in «stile americano», resterebbe altrimenti un mistero. Qualche giorno fa, in un articolo che semplicemente celebrava un anniversario della Polizia Stradale, un quotidiano nazionale trovava del tutto ovvio questo incipit: «L’automobile è il primo amore degli italiani. Viene subito dopo la mamma e in certi casi la sorpassa, ma non si può dire. Autentico oggetto del desiderio. Status symbol di una riuscita sociale che si calcola in cilindri e cavalli. Dalla Topolino alla Ferrari, dalle station wagon ai fuori strada, dalle Smart ai Suv, la filosofia stradale dei nostri connazionali è tutta scritta nel loro libretto di circolazione. Che è la vera carta d’identità dell’homo italicus, quella che ne registra passioni e ossessioni, sfizi e vizi, necessità e velleità, successi e insuccessi».

Eppure in tutto il mondo, anche nella Cina della recentissima motorizzazione di massa, si parla tantissimo dell'allontanamento delle nuove generazioni dal mito del possesso del veicolo privato come fattore di identità, di affermazione personale, di strumento di seduzione sessuale e via dicendo. Sarà, ma quando si rischia di farsi travolgere ad ogni incrocio da chi «sta lavorando e non ha tempo da perdere» e non rallenta certo per uno stupido pedone, oppure la stessa vigilanza urbana chiude un occhio per le soste in terza fila che bloccano un quartiere ma «alimentano il commercio», si capisce che un processo di disintossicazione da questa dipendenza sarà comunque lungo: c'è in ballo infinitamente di più, che non il semplice banale spostarsi da qui a lì. Basta pensare alla reticenza a adottare cambi automatici (perché fanno perdere quel senso di potere sulla meccanica), o al successo assurdo dei «car sharing di immagine», che fanno pagare di più per spostarsi di qualche centinaio di metri, ma con un veicolo simil-lusso, per intuire che ci vorranno anni, e anni, a uscire dal tunnel in cui ci ha cacciato Henry Ford, con la sua pensata psicologica vincente, più di un secolo fa. Perché un'automobile, sta ferma il 95% del suo arco di vita, lo sapevate? Per il resto, scorazza nella nostra immaginazione, a pagamento.

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