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Martedì, 16 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Dopo l'attentato francese: militarizzazione del territorio?

Puntuale come un orologio, dopo il mancato attentato sul treno Amsterdam-Parigi scatta, automatico, l'istinto alla militarizzazione securitaria, come per gli aeroporti o gli edifici pubblici. Basta scorrere i giornali del giorno dopo per leggere questa tranquilla e puntuale deduzione degli «specialisti», ovvero di chi non vede l'ora di lanciarsi in questo genere di trasformazioni del mondo. Purtroppo qui in Europa forse non si è seguito a sufficienza il dibattito americano che, dal post-11 settembre, si è dispiegato proprio sugli effetti reali di questo monopolio della prospettiva militare sulla sicurezza. Perché è di questo, che stiamo parlando: ci sono tanti tipi di sicurezza, e quello militare è solo uno, particolare, e in genere assai più discutibile di altri, ma purtroppo ricade perfettamente in una logica meccanica, settoriale che non sa di essere tale, con tendenze alla banale segregazione, tanto adeguata a certo mondo odierno.

Spostarsi da un ambiente all'altro passati al setaccio e ai raggi X, controllati a vista, condizionati nei tempi e nei modi, pesati, valutati, giudicati. La galera, la caserma, l'ospedale, il manicomio, l'istituzione totale estesa all'universo intero, perché ce lo impone la sicurezza. È questo, certamente esagerando e allargandosi molto, il modello securitario-militare che bussa alle porte dopo ogni attentato, in qualunque contesto, rivendicando la giustezza del proprio metodo, il modus operandi che si sbandiera come unico e ottimo. Barriere New Jersey di cemento a comporre labirinti da città assediata, attorno a qualsiasi edificio «sensibile», e ribaltando così la logica della rete stradale che compone qualunque quartiere. Metal detector e controlli personali a recidere nettamente il classico cordone ombelicale che nelle città unifica i flussi pubblico-privato dalle strade e piazze collettive agli edifici di relazione non strettamente e privatamente residenziali, ovvero tutto ciò che non ricade nella tipologia familiare. E dulcis in fundo, occlusione del calane di flusso per eccellenza, ovvero quello dei trasporti, aerei, navali, adesso ferroviari: cancelli elettronici, scanner, interrogatori, perquisizioni. Cosa dovremmo aspettarci la prossima volta, quando magari succederà in una stazione di servizio sull'autostrada?

In fondo, i presupposti diciamo così «tecnico-culturali» ci sono già tutti: il sistema dei pedaggi e della segregazione per mezzi veloci o pesanti che impone barriere e attraversamenti canalizzati, gli accessi e deflussi già costruiti per essere punto di controllo, i punti di sosta senza alcun contatto esterno e gestiti in forma di «enclave autonoma», così come delineato ancora negli anni '20 da un profetico progettista americano che li chiamava «highway business center» senza certo pensare alla nostra stravagante definizione di Autogrill. Ecco, immaginiamo: cosa succederebbe se lasciassimo briglia sciolta, magari dopo una sparatoria a vago sfondo religioso e politico in una stazione di servizio, a questi cani da guardia della sicurezza militare? Succederebbe il dispiegarsi dell'istituzione totale in forme mai viste, perché il nostro territorio è stato preparato magari inconsapevolmente a questa eventualità da decenni, con la cultura della mobilità veloce automobilistica. La rete autostradale è già, potenzialmente, una galere bella e pronta, e le nuove strade veloci multicorsia, concepite dai costruttori implicitamente (guardateli quei guard-rail tripli ininterrotti che vi tagliano fuori dal paesaggio!) già nella prospettiva di imporre prima o poi un pedaggio, pure. Manca solo la scintilla, la scusa, e ci ritroveremo dentro al prossimo incubo totalitario, magari imparando a viverlo come normalità: per la «sicurezza», certo, come no? Ovvero diventare vittime di un integralismo con la scusa di sfuggire a un altro.

Su La Città Conquistatrice molti articoli provano a declinare diversamente l'idea di sicurezza

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