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Giovedì, 25 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Eataly, pancia mia fatti metropoli

Milano, 18 marzo 2014, si inaugura nel cerchio magico delle ormai celebrate nuove architetture l'ultima puntata di Eataly, nell'ex teatro Smeraldo diventato oggi palcoscenico di una nuova possibile Italia. Tutte balle pubblicitarie per lanciare un formato commerciale inedito, che accoppia negozi e ristorazione? Oppure una intelligente alternativa, urbanisticamente sostenibile, agli scatoloni suburbani con parcheggio verso cui abbiamo tutti fatto code nei fine settimana, imprecando ininterrottamente per lustri? A ben vedere un po' di tutte e due le cose: lì dentro ci sono tutte le contraddizioni italiane.

L'idea di Oscar Farinetti per un marchio riassuntivo dell'accoppiata cibo-territorio nasce, abbastanza notoriamente, da una considerazione piuttosto simile a quella che caratterizza il movimento Slow Food. Ovvero che esista (come esiste, perbacco se esiste!) un rapporto stretto e virtuoso fra la terra su cui appoggiamo i piedi, la sua storia, tutti noi intesi come società locale, e ciò che mangiamo. Più questa relazione viene rispettata, più ci si adegua a un ciclo naturale. Se il movimento internazionale lanciato da Carlo Petrini si muove soprattutto sul versante culturale, scientifico, o anche politico, diciamo che Oscar Farinetti ha provato a imboccarne il percorso più squisitamente commerciale. Nulla di male, anzi, ottima cosa se intendiamo il mercato nella sua ideale originaria natura di una offerta che risponde una domanda. Però sappiamo per esperienza che le cose non vanno mai tanto lisce.

Già dal primissimo punto vendita Eataly inaugurato qualche anno fa in Piemonte, era chiaro che tutti gli ideali duri e puri del chilometro zero, del rapporto diretto con le economie del territorio e i produttori, insomma di una declinazione organizzata del famoso slogan “l'uomo è ciò che mangia”, rischiavano forte di naufragare, dietro le insegne di un marchio commerciale. E l'idea di una declinazione gastronomica del noto approccio degli stilisti all'abbigliamento, unita a certi meccanismi perversi globalizzati del tipo ben descritto da Naomi Klein in No Logo, probabilmente si è rafforzata man mano il marchio cresceva nel mondo inaugurando i suoi punti vendita oltreoceano. Oggi, mentre si inaugura l'ultimo nato della numerosa prole, Eataly Smeraldo a Milano, è in cantiere addirittura un enorme parco a tema alimentare nell'area bolognese: siamo alla definitiva transustanziazione, o per dirla più terra terra allo sputtanamento? Difficile giudicare, o liquidare tutto con un cinico ma infantile business is business. Forse è meglio riflettere un po' sui vari aspetti emersi nel tempo da questa idea, contraddittoria ma senza dubbio innovativa.

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