rotate-mobile
Venerdì, 19 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Il centro commerciale a sua insaputa

Abbondano da circa mezzo secolo gli studi e notizie, pubblicati sulla stampa di informazione e costume, di architettura, commercio, urbanistica, trasporti, su come si sia evoluto nella realtà l'oggetto che campeggia in qualunque periferia metropolitana del mondo. Quello scatolone, unico o multiplo, ad aria fresca o condizionata, in forme dal capannone industriale con insegne al neon al finto centro storico disneyano, circondato da parcheggi molto più vasti degli spazi pedonali che servono. Parcheggi indispensabili per gestire delicatamente e scientificamente la rinascita ciclica dell'essere umano da disabile automunito cronico a sapiens camminante pronto a spendere ogni centesimo e minuto nell'attività di shopping. L'automobilista esce dal mondo normale dell'ingorgo eterno dentro cui abita appena fuori dal tinello domestico, si purga e libera dal fardello della protesi meccanica riscoprendo di poterne fare a meno se non altro temporaneamente, e rinfrancato si appresta al dovere del consumo compulsivo che ha trattenuto per tanti giorni. Un signore che si chiama Paco Underhill scrisse una intera collana di best seller dedicati precisamente a questo processo tecnico psicologico comportamentale e naturalmente di mercato. Ma niente, tutto per niente: a quanto pare chi attraversa quelle fasi naturalmente da consumatore, chi magari ha pure letto con interesse alcuni dei testi pensando vagamente «ma guarda un po'!» poi se ne scorda all'atto pratico.

Tra gli atti pratici ci sono anche quelli di prendere decisioni pubbliche pro o contro alcune attività commerciali e di servizio, perfettamente analoghe a quanto contenuto dentro quegli scatoloni delle periferie metropolitane, i quali non nascevano così a caso, ma da raffinati studi di marketing e organizzativi organici. Avevano cioè natura di piani-programmi, non di progetti. Partivano da un obiettivo chiaro e definito, ovvero quello di mettere il consumatore nelle condizioni ideali per consumare tanto e bene, trasferendo i propri soldi dal portafoglio personale a quello del commerciante, e in generale dentro la gestione dello shopping mall. Tutto, tutto il resto, fino a quell'oceano di parcheggi e corsie, discende da lì: dal considerare l'obiettivo e inserirlo nel contesto. In principio c'erano due processi paralleli in corso: il primo la migrazione degli abitanti (specie le fasce di reddito e consumo più alte che potevano permetterselo) verso le estreme periferie o sobborghi alla ricerca di più spazio privato per la famiglia; il secondo, connesso, l'impennata degli spostamenti automobilistici per ogni tipo di necessità, dal pendolarismo per lavoro a quello per servizi e tempo libero. La distribuzione organizzata, localizzata nelle città ex concentrazioni demografiche ora sempre più nodi di servizio, prova a rispondere prima con nuovi negozi, parcheggi, sistemi, poi insieme ad architetti e urbanisti sviluppa la risposta definitiva inventando quel Partenone dell'Arte Commerciale Moderna che è lo shopping mall suburbano, dove esiste un rapporto 1:2 o 1:4 tra superfici commerciali vere e proprie e spazi per accesso e sosta veicoli.

Tutto, tutto il resto, discende da lì: in auto o non si consuma o si consuma poco e male, bisogna fare di tutto per togliere il consumatore dall'abitacolo e farlo camminare. Ogni sforzo sarà concentrato su quello, e solo in seguito si penserà a come gestire la sua passeggiata nel modo più proficuo. Ma a quanto pare tutte queste molto pubbliche e molto note riflessioni, sviluppate e perfezionate per decenni, vengono bellamente ignorate da chi prende decisioni di riqualificazione urbana a forte nucleo commerciale, che si tratti di pedonalizzazioni o «traffic calming» delle arterie automobilistiche su cui si affacciano i negozi, o di vere e proprie trasformazioni edilizie-spaziali a indirizzo di servizio-commerciale. Recentemente nella scia di analoghi progetti nelle principali città europee anche in Italia si è affrontata la questione di ammodernamento delle strutture per i mercati rionali, per rivolgersi a una nuova clientela vuoi di tipo turistico vuoi di fascia socio-economica molto diversa da quella tradizionale delle famiglie vetero urbane in via di progressiva sparizione e suburbanizzazione. Ma pare che la lunga lezione degli shopping mall non venga proprio colta: si lavora su piazze, edifici, insiemi di botteghe, come se si trattasse di progetti di architettura arredo «refurbishing dell'offerta», invece di risolvere la questione centrale dell'accessibilità. Che comporta affrontare il tema trasversalmente, magari creando un'Agenzia ad hoc, invece di procedere per singole competenze tecniche (Assessorati tematici necessariamente parziali). Vengono così proposti magari bellissimi complessi, che attirano moltissimi utenti, i quali però se ci vanno in auto non sanno come e dove parcheggiare, se provano coi mezzi pubblici scoprono che sono inadeguati allo scopo, se sono così fortunati da poterci andare a piedi si trovano assediati dal caos del traffico. Perché non pianificare, imparando dalla storia stessa degli shopping mall automobilistici?

La Città Conquistatrice – Shopping Mall 

Si parla di

Il centro commerciale a sua insaputa

Today è in caricamento