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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Il cittadino e il monopolio degli architetti

Quando negli anni '60 del secolo scorso l'idea di trasformazione urbana veniva letteralmente sconvolta dal successo mondiale de La Vita e la Morte delle Grandi Città il principale rilievo all'autrice Jane Jacobs, poi messo del tutto in sordina dal medesimo successo di pubblico e di critica, era quello di essere una dilettante. In una prospettiva storica ma non solo, la domanda che sorge spontanea in un approccio non ideologico suona più o meno: ma dilettante DI COSA? Se andiamo a spulciare la biografia dell'interessata possiamo notare come perfettamente dentro l'ambito giovanile formativo di tipo scolastico-universitario non manchi nessuno dei passaggi formali ed esperienziali di un approccio del tutto sistematico e rigoroso alle questioni urbane affrontate. Per esempio i corsi universitari alla Columbia in discipline geografiche, ambientali, giuridiche e sociali, che forse per pure ragioni burocratiche (le donne non erano ammesse) non portano a conseguire un titolo, ma per esempio sfociano in un libro edito dalla University Press e molto apprezzato dalla critica accademica. Né pare possibile negare il valore oggettivo di tipo sia scientifico che professionale della lunga serie di pubblicazioni su città, sviluppo locale, aspetti vari degli stili di vita urbane, dagli anni '30 all'immediato dopoguerra quando cominciano le famose osservazioni sul Greenwich Village comparato ai grandi progetti modernisti dello Urban Renewal che sfoceranno poi nel libro.

Cosa c'è allora in realtà di tanto "dilettantesco" in quella critica della meccanica corbusieriana industrialista applicata in massa alle trasformazioni urbane e mal digerita dal mainstream architettonico-urbanistico dell'epoca? Sta nel non discendere da nessuno dei percorsi progettuali ufficialmente riconosciuti dalla corporazione degli addetti ai lavori. La stessa diffusissima opposizione allo zar delle riqualificazioni urbane pesanti nel segno dell'auto privata e della segregazione funzionale, Robert Moses, che peraltro vedrà la stessa Jane Jacobs personalmente in primo piano in alcune mobilitazioni locali di grande successo, mai si avvale del medesimo epiteto di "dilettante" per liquidare quella manifestazione di potere decisionale così brutale e unilaterale. Perché? Perché Moses a modo suo pur con la delega ad architetti e ingegneri professionisti per i dettagli tecnici esprimeva una logica di mega-progetto del tutto analoga a quella corrente accademica e degli studi di architettura privati, mentre Jacobs sostanzialmente si limitava ad una pur sistematica e propositiva critica da "cittadina consapevole", inaccettabile da quella che continuava a considerasi una controparte. E sta forse qui la chiave di quel nuovo mancato inizio di un nuovo ciclo nella partecipazione urbana.

La storia del dilettante che deve lasciare il campo quando entrano in ballo i professionisti riassume molto bene tutto questo "ciclo mancato di partecipazione" proprio tutto focalizzato impropriamente sul tema del progetto. Mentre seguendo la logica "dilettantesca" ma perfettamente scientifica in realtà, si sarebbero potuti delegare gli aspetti propriamente progettuali agli specializzati mantenendo saldamente nelle redini dei processi partecipativi espressione di bisogni, critica sistematica dello stato di cose presente, spunti generali a titolo orientativo. Nulla di più diverso da quelle sessioni di progetto partecipato più o meno in buona fede pilotate da professionisti spazio-sociali, in cui il cittadino come in una specie di gioco da tavolo simula uno studio di architettura molto affollato. Un modello che forse con gli strumenti tecnologici disponibili oggi si supererebbe da solo con la pura elaborazione di dati e modelli, ma che resta comunque legato mani e piedi filosoficamente sempre a quella antica dicotomia dilettante-professionista. E che condiziona spesso addirittura la costruzione politica dei processi partecipativi in regole strumenti contenitori istituzionali, spesso rigorosi nel COME decidere quanto indifferenti al COSA decidere. Rileggere la storia recente della partecipazione-decentramento-contrapposizione nimby in questa prospettiva forse sarebbe molto utile.

Riferimenti: Rebecca Solnit – Le Tre che Fecero la Rivoluzione

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