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Venerdì, 19 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Il genuino mattone di campagna

Accade a volte di leggere su alcuni programmi didattici dei corsi di progettazione, nelle facoltà di Architettura, che l'esercitazione si terrà in un contesto di “territorio rurale”. Capita però, poi, anche di assistere alla presentazione e discussione pubblica degli elaborati, e indipendentemente dagli orientamenti, dalle teorie di riferimento o dalla particolare qualità dell'una o dell'altra esercitazione, si nota una costante: del territorio rurale non c'è alcuna traccia. Nel senso che, a parte qualche uso scenografico di sfondo, spesso se non sempre del tutto indipendente dalla realtà dei fatti (colline dove non ce n'é, o ampie distese aperte dove gli orizzonti sono chiusi da non lontani manufatti edilizi esistenti), questo territorio rurale si trasforma per incanto nella solita tabula rasa su cui esercitare sapienti giochi di pieno vuoto da architetto, equilibri fra antico e nuovo, sapiente miscela fra tecnologia e tradizione. Insomma quel che sta al centro della ruralità, ovvero l'agricoltura, le sue economie, il suo paesaggio più o meno conservato o innovato, il rapporto con l'economia del territorio, tutti quegli aspetti che ci ha raccontato e valorizzato il movimento Slow Food, in questo uso inavvertitamente ideologico del “territorio rurale” non esistono.

In fondo è un tradimento della parola come tanti altri. Si è già accennato a come la piuttosto violenta sostituzione sociale nei quartieri con espulsione dei bassi redditi, detta gentrification, venga ormai assimilata anche da certi sindaci alla riqualificazione, o quanto la propaganda del conglomerato edilizio-petrolifero-automobilistico si prodighi a mantenere viva una notevole ambiguità sull'aggettivo suburbano, o addirittura il sostantivo sprawl. Per il territorio rurale, nel nostro paese si può anche individuare un filone culturale per così dire nobile, che parte nel periodo fascista tra le due guerre con le bonifiche integrali. L'obiettivo, tutto contadino, produttivo e sociale, è quello di trasformare territori abbandonati o remoti in una risorsa, arricchendoli di reti socioeconomiche e infrastrutture dedicate, dal canali, alle strade, a piccoli insediamenti. Alla funzione puramente agricola si devono forzatamente aggiungere anche quella residenziale e di servizio, così entra in campo una nuova definizione che al primo congresso INU troverà la propria consacrazione: l'urbanistica rurale è la vera urbanistica fascista. Dopo la guerra e la fine del fascismo, la trasformazione del paese fa tramontare questo genere di prospettiva, anche se culturalmente si rimane più o meno ancorati a quel modello, del resto derivato da esperienze internazionali come quelle della rooseveltiana Tennessee Valley Authority. Un esempio tardo e crepuscolare di questo genere di cultura è il famoso villaggio La Martella realizzato nella greenbelt agricola di Matera a ospitare famiglie di contadini espulse dai Sassi per motivi igienici.

Poi, solo ideologia, o meglio quella vita da separati in casa che conducono abbastanza ambiguamente architetti e urbanisti nel nostro paese, sempre a litigare su chi abbia l'idea giusta dell'equilibrio fra metro cubo e metro quadro nel territorio rurale. Oggi a questa disputa si aggiunge la nuova trovata, presumibilmente ispirata da chi vede lo sviluppo del territorio solo in termini edilizi: si chiama pomposamente “compendio neorurale periurbano”, e sta acquattato dentro il disegno di legge su “Contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato” (C. 2039 Governo). Racconta eloquentemente il commento di Maria Cristina Gibelli sul sito Eddyburg, quanto anche stavolta siamo di fronte a un ribaltamento triplo di termini e intenzioni, perché si dichiara di contenere consumo di suolo, favorire produzioni agricole di prossimità, ma poi l'asino casca nel solito vizio ambiguo di rimestare nel torbido delle zone grigie, quelle che già all'alba della disciplina urbanistica il nostro Gustavo Giovannoni definiva i campi di battaglia tra la campagna e la città. Nella prospettiva del dibattito internazionale su sprawl e anti-sprawl, in effetti, non ci vuol gran che a capire il rischio che si annida dentro questi “compendi neorurali periurbani”, anche solo semplicemente scorrendo la serie delle funzioni ammesse in questi ex nuclei rurali, che ricordano molto certe assai discusse riqualificazioni ricettive o terziarie recenti. E pensare che, se fosse approvato il disegno di legge così com'è, assumerebbe valore tragicomico anche quel “rammendo dei tessuti” tanto discusso dopo le dichiarazioni di Renzo Piano e addirittura l'intervento della Presidenza della Repubblica. Ovvero, tanto per dire pane al pane e vino al vino, invece di ricucire tessuti si finirebbe per confezionare dei bei bavagli, all'ex territorio rurale rammendato.

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