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Venerdì, 29 Marzo 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Il mito della sicurezza percepita

Ascoltando un dibattito radiofonico tra esperti e pubblico coordinato da un giornalista, sul rapporto tra rilevata diminuzione dei reati e crescita della sensazione di insicurezza, non potevo fare a meno di cogliere quanto i tre soggetti pur cercando onestamente di dialogare facessero riferimento in realtà a universi separati e incomunicanti. Trattandosi in partenza di reati, ovvero tecnicamente di atti contro la legge rilevati come tali e in qualche modo perseguiti (e registrati) dalle pubbliche autorità, gli studiosi e testimoni privilegiati a quello si attenevano, ponendosi la domanda sul perché del divario «realtà fattuale/sensazione soggettiva» e facendo a volte alcune ipotesi. Ovvero si attenevano al tema come si addice a chi ne capisce qualcosa: ti dico che, sicuramente, ci sono meno reati, ti fa sentire meglio? Si o no? Specifico questo aspetto perché in realtà il cosiddetto «dibattito» era espressamente progettato per andare da tutt'altra parte: prima col pubblico caldamente invitato a trasformarsi inopinatamente in esperto, essendo lui quello che percepisce la sicurezza percepita, quindi secondo il moderatore massima autorità mondiale possibile; poi con una conduzione a minestrone che, pur certo lontana dal fomentare risse e polemiche pretestuose in diretta, tutto faceva tranne ricomporre i termini, così come avevano in principio tentato di impostare gli studiosi. Un guazzabuglio che nulla aggiungeva alla consapevolezza. Sconcertato, e per l'ennesima volta su questi aspetti tanto delicati per la convivenza, ho poi dato un'occhiata in rete, facendo una scoperta: in realtà la famosa «sicurezza percepita», cavallo di battaglia di forze politiche, base di intere strategie di governo, filosofia dell'esistenza contemporanea, è esattamente il guazzabuglio inestricabile fomentato dal non-moderatore di quel dibattito. Ovvero non ne esiste da nessuna parte una definizione.

Certo, si dirà, si tratta di una percezione soggettiva, che cambia al cambiare sia dei soggetti che della fonte, ergo impossibile da definire in modo univoco, anche in forma aperta. Eppure su finte artificiose definizioni si sono costruite nei decenni cose enormi, che probabilmente «attenendosi ai fatti» come suggerivano inascoltati gli esperti, si sarebbero evitate, almeno negli aspetti più vistosi e manipolati ad hoc. Anche una delle più note teorie della sicurezza percepita, quella cosiddetta della «finestra rotta», è in sostanza frutto di manipolazione e disinformazione: forse ricostruirne il percorso ci aiuta a dipanare almeno una delle matasse ingarbugliate. In principio c'è un'automobile a cui un gruppo di studiosi ha rotto apposta un finestrino per verificare alcune tendenze comportamentali dei passanti e il rapporto con altre variabili sociali come età, classe, etnia ecc. Le conclusioni dell'esperimento, ripetuto in zone diverse di diverse città americane negli anni '70, si possono riassumere in: disordine trascurato chiama inevitabilmente altro disordine; i comportamenti devianti in contesto deviato riguardano indistintamente ogni genere di persone. Fin qui la teoria del finestrino rotto, che però comprende anche un'altra dirimente osservazione, ovvero il discrimine tra il solo disordine o comportamento antisociale, e il reato vero e proprio, che sta alla base sia del discrimine tra sicurezza reale e percepita, sia delle possibili «soluzioni del dilemma»: una di ordine istituzionale e connessa all'idea di monopolio statale della violenza; un'altra di ordine sociale, relazionale, territoriale. Ma c'è un ulteriore passaggio che non è affatto teorico, anche se comporta il coinvolgimento di studiosi esperti.

È quello che partorisce la non-teoria della Finestra Rotta, che generazioni di improvvisatori, politici, architetti, speculatori immobiliari, hanno cavalcato in genere senza nulla sapere. Perché nei medesimi anni '70 in cui innocenti psicologi comportamentali piazzavano la loro auto artificiosamente danneggiata nei quartieri, un Presidente da Washington pronunciava la celeberrima minacciosa frase CITIES DROP DEAD. Traducibile con: «Le città devono stare zitte e a cuccia», non continuare a chiedere fondi federali per rimediare ai danni di una loro pessima amministrazione finanziaria e fiscale. Il presidente era un Repubblicano, molto consapevole del fatto che i suoi elettori di riferimento, il ceto medio bianco conservatore, dalle città se ne era andato verso il suburbio degli steccati bianchi, e tra grattacieli per uffici e quartieri ad alta densità erano rimasti solo neri, immigrati, intellettuali, progressisti, per cui non valeva la pena investire più di tanto, perché tanto avrebbero votato Democratico. Ma questo poneva comunque un problema decisamente bi-partisan, perché esistono servizi minimi da garantire, come quelli di ordine pubblico pur tanto amati dai conservatori di tutte le latitudini. Qui arrivano in soccorso altri psicologi interni alle forze dell'ordine, George L. Kelling e James Q. Wilson, con una riflessione pubblicata nel 1982 da The Atlantic dal titolo: «Finestre rotte – La Polizia e la sicurezza nei quartieri». Il cui obiettivo è però tutt'altro che teorico, ovvero circoscrivere ai veri e propri reati l'azione delle pattuglie sul territorio, lasciando che il notorio «disordine percepito» venga trattato a parte, magari col supporto indiretto delle medesime forze, però con un impegno di operatori diversi, dai cittadini ai servizi urbani di pulizia, igiene, sostegno sociale ecc. Sembrerebbero essersi chiariti i termini, grazie alla spinta dell'emergenza finanziaria indotta dal taglio dei fondi federali, ma questo non aggrada a chi sulla confusione invece ci specula e ci guadagna, per esempio palazzinari e immobiliaristi: della teoria della finestra rotta, dei suoi passaggi tutti logici e ordinati, anche nella versione pratica delle politiche possibili di reazione al disordine, resta solo un aspetto: il disagio crea nuovo disagio, ergo le fonti vanno represse sin dal principio, anche agendo radicalmente. In sostanza, ribaltando la questione e intorbidendo le acque, si sovrappongono il fastidio e il reato (il disordine visivo, la insicurezza che può indurre, e il manifestarsi vero e proprio di comportamenti aggressivi) auspicando repressione e tabula rasa. Nasce la Tolleranza Zero alla Finestra Rotta, che secondo la narrazione conformista aprirà alla cosiddetta Riqualificazione Urbana, mettendo idealmente fine alla serie di quei film catastrofici tanto di moda a cavallo tra anni '70 e primi '80. Saperlo, forse, aiuta a riconsiderare certe sciocchezze ancora di moda oggi.

La Città Conquistatrice – Sicurezza Urbana

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