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Sabato, 20 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Il vecchio, il nuovo, il bene, il male

Leggo nel post di un conoscente una tesi tanto comune da non essere nemmeno considerata tale, ovvero che la trasformazione urbana in sé sia comunque un male a prescindere, naturalmente speculativa (nel senso tecnico etimologico della parola) di cementificazione fine a sé stessa, spreco di tutte le risorse naturali possibili e immaginabili, resa accettabile e digeribile soltanto eventualmente buttando a mare tutto, proponenti compresi, e ripartendo da zero ponendosi la domanda fondamentale: cosa ci serve? E formulando poi una miriade di risposte frammentate soprattutto prive della pur vaga organicità-complessità dell'idea originaria a cui si dovrebbero porre come alternativa. Ma la storia, praticamente tutta, ci dice che alternativa non lo sono quasi mai: solo una cortina fumogena dietro cui si nasconde il mantenimento dello status quo. Compreso magari il problema abitativo da cui era nata la pur molto discutibile risposta, o il rinnovo sistemazione di altre parti del territorio di cui quella trasformazione era una sorta di vaso comunicante, svuota lì riempi qua, spalmato nel tempo. Niente, tutto deve rimanere tale e quale perché il nuovo è male, cattiva intenzione, peccato mortale. In sostanza per quanto riguarda le opposizioni alle trasformazioni urbane il radicalismo intelligente pare regredito ai tempi di Ned Ludd.

Personaggio forse immaginario come Robin Hood che nell'epoca della massiccia introduzione dei telai meccanici (e organizzati nella fabbrica anziché sparpagliati tra i casali contadini) divenne una leggenda per averne completamente distrutto uno a colpi di mazza, forma di lotta radicale e rifiuto del dominio della macchina capitalistica sull'uomo. Nulla da dire certo sugli aspetti sociali culturali filosofici politici di questa radicalità di reazione al nuovo incombente potere. Simile per esempio nella prospettiva ai quadri che raffigurano le notti stellate campagne visivamente sventrate dai bagliori della fornace, nuovo simbolo di satanica alterazione degli equilibri naturali, del calore del carbone arroventato dentro cui si sciolgono i metalli che andranno a formare caldaie, telai, e poi quelle locomotive sferraglianti che tutto travolgono, dalle vacche al pascolo ai silenzi ancestrali delle valli remote. Insomma l'unica alternativa di chi fa a pezzi la macchina (con le mazzate o con la critica politica radicale) è il mantenimento dello status quo. Di qualunque status quo, unico equilibrio pur imperfetto immaginabile di fronte a quello o ad altri piani e progetti di trasformazione.

Almeno finché non entra in campo la politica vera, sia istituzionale che degli interessi consapevoli di essere di parte, con la coscienza che esiste (è sempre esistita bene o male) la fisiologica terza via nello scontro tra costruzione e distruzione. Dentro cui gli interessi singoli o addirittura irriferibilmente in malafede trovano diverso spazio in un diverso mosaico composto dalle medesime tessere, escludendone giusto qualcuna minore e sacrificabile. Ed evitando là dove ampiamente possibile l'ideologica crosta o impiallacciatura delle compatibilizzazioni o indennizzi che sempre fanno suppurare la piaga anziché prosciugarla. Più o meno sempre in quella consapevolezza di terza via si distingue il piccolo o grande leader da quello vociante autoproclamato del Grande NO: nell'idea che per quanto istintivo e positivo possa essere accettare come spontaneo progressista il radicalismo conservazionista a oltranza, all'orizzonte c'è sempre una trasformazione. Evolutiva come in fondo auspicheremmo tutti, o involutiva masochista come sperano i disfattisti del tanto peggio tanto meglio. Pensiamoci, partecipando materialmente o emotivamente alle tante battaglie nimby o identitarie in corso nelle nostre città o territori o addirittura accademie.

La Città Conquistatrice – Nimby

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Il vecchio, il nuovo, il bene, il male

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