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Venerdì, 29 Marzo 2024
Città conquistatrice

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A cura di Fabrizio Bottini

Flussi migratori e periferie

Angela Merkel sui rifugiati in cerca di asilo ha fatto bene o solo sfruttato un'occasione? Si discute molto in questi giorni sulle reali intenzioni della cancelliera tedesca dopo la cosiddetta "svolta sui flussi migratori": un'Europa più solidale o semplicemente un cinico calcolo utilitario? Ovviamente non lo sapremo mai, anche se con un briciolo di buon senso ci arriviamo tutti a capire quanto surreale potesse essere, l'idea di continuare a chiudersi a riccio a quella marea che non si ferma certo davanti alle carte bollate, e neppure a barriere di filo spinato. 

Meglio ragionare, riflettere, sul come gestire al meglio i flussi e farli diventare la risorsa demografica che potrebbero essere, nel nostro continente stanco e invecchiato, come avvertono da tempo gli specialisti dell'economia, della previdenza, dei servizi, e in generale gli studiosi di sviluppo. Non mancano però le voci diciamo così sopra le righe.

Mi riferisco in particolare a chi, assai più evidentemente della Merkel, usa la faccenda dei profughi richiedenti asilo per farsi i fatti propri, come certe archistar molto propense come al solito al chiacchiericcio, che stavolta dall'alto del tavolo da disegno intravedono all'orizzonte la loro nuova "città dell'accoglienza". Brutto vizio, questo dei progettisti di ricascare sempre nel medesimo cliché, senza tener conto della incredibile serie di guai creati dal metodo, e che si sgranano come un rosario per tutto il '900 urbano, etichettati di solito come "problema periferie". 

Che c'entrano i profughi richiedenti asilo col problema periferie? C'entrano, c'entrano, perché la questione va a ingrossare di nuovo le file di chi da sempre alimenta politiche emergenziali per la casa, i servizi, l'urbanizzazione, e soprattutto non vuol sentire ragioni quando si avverte che quel metodo andrà a produrre proprio le stesse rivolte delle banlieu che ogni tanto incendiano le metropoli dell'Occidente, sia nella classica versione dei quartieri razionalisti, sia in quella anomala ma non troppo delle villette decrepite sulla superstrada. Il vizio sta nel manico, ovvero nel delegare ai professionisti del contenitore la gestione del contenuto, del contenuto umano.

Sinora si sono evidenziati sostanzialmente due metodi di assimilazione dei flussi migratori, più o meno eccezionali: quello delle regole civili da condividere, o (spesso in alternativa) quello del contributo puramente economico alla causa comune dell'arricchimento. Anche se non sempre e ovunque in modo così netto e alternativo tra le due opzioni, si può dire che il primo modello ha prodotto le classiche periferie novecentesche, quelle del disagio e degli spiantati, i ghetti dove si concentra da sempre un marasma di contraddizioni identitarie, e dove agli antichi abitanti contadini inurbati, si sono sostituiti gruppi etici e sociali che non riescono proprio a diventare la famosa "melting pot" del futuro. 

L'altro modello è quello più caratteristicamente liberista, che produce quelle curiose ma non meno tragiche forme di "slum" metropolitano del terzo millennio, dove i nuovi arrivati vanno a riempire in modo omogeneo e ghettizzato per etnie e fasce di reddito piccole nicchie dismesse, a volte considerate superficialmente come segno di vitalità economica o urbanistica, anche se di fatto esprimono solo sopravvivenza. 

Se c'è una terza via, a questi due modelli, certamente non sta agli architetti decidere, coi loro rendering delle future casette o casone piene di facce colorate improbabilmente felici. Ci vuole politica, realismo, idee di sviluppo un po' diverso sia da quello puramente solidaristico, sia dall'altro liberista dell'arricchitevi come vi pare. Tutto da pensare, ma forse ci sono ottime idee che circolano da tempo: basta saperle sfruttare, e mettere equilibratamente insieme.

Su La Città Conquistatrice anche un articolo che prova a delineare certi rischi ambientali di un approccio sbagliato a Immigrazione, povertà, sprawl

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