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Sabato, 20 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

L'architetto stilista bypass

Quasi contemporaneamente due noti progettisti italiani di fama internazionale se ne sono usciti con l'ennesima pensata perfettamente risolutiva in un paio di semplici mosse di qualche millenario problema dell'umanità: Renzo Piano che propone banchi di legno alla nuova scuola del dopo pandemia, e Carlo Ratti che da par suo salva Venezia sulla base di alcune tabelle di dati del Massachusetts Institute of Technology indicanti un diverso profilo di turista. Piano, girando la sua proposta al comitato di genitori e insegnanti Priorità alla Scuola, parla di «Un progetto che darebbe ossigeno ai diecimila falegnami in Italia che sarebbero in grado di produrli». Ratti a partire da una liquidatoria definizione di Don De Lillo sul consumatore di città senza senso civico se la prende con quelli che «Usano l’urbs — la città fisica, come veniva chiamata dagli antichi romani — senza dare un contributo significativo alla civitas, la comunità dei suoi abitanti. Per cambiare le dinamiche di questo tipo possiamo provare a rallentarle. I Viaggiatori Posati» eviteranno di ripetere gli errori del turismo mordi-e-fuggi». Ovviamente non c'è nulla che non vada, nel fatto che due intellettuali visibili e prestigiosi intervengano su temi di attualità come l'istruzione in rapporto alla società, o lo sviluppo locale sostenibile di un patrimonio dell'umanità come Venezia. Il problema sta nel modo e nel tono degli interventi, che ricordano (con l'eccezione fondamentale del contesto e del medium) quell'antico micidiale slogan «Dal Cucchiaio alla Città», che qui potremmo comicamente declinare «Dal tavolino in legno alla laguna di élite». Proviamo a capire meglio perché.

Fra le tante intemerate da architetti dopo pandemia che si susseguono in queste settimane, vorrei ricordare un passaggio di quella in cui Massimiliano Fuksas alla ricerca di precedenti per il suo personale progettone di riforma risolutiva dell'universo citava lo storico Piano INA-Casa di Amintore Fanfani. Ecco, immaginiamoci in quei lontani anni '40 dell'immediato dopoguerra, un affermato professionista dell'architettura, che intervistato in quei Cinegiornali in bianco e nero che precedevano lo spettacolo vero e proprio in sala, esponesse il suo «Progetto di Costruzione di Deliziose Loggette in Mattoni a Vista per il Rilancio del Settore Edilizio-Costruzioni, la Realizzazione di Case Economiche, l'Incremento dell'Occupazione dei Muratori con particolare riguardo alle Zone Depresse del Mezzogiorno». Tutto partiva da quel balconcino un po' lezioso, perfettamente controllabile sul tavolo da disegno dell'architetto, ma che ovviamente poi risalendo la filiera andava davvero a toccare quei settori e soggetti chiave a scala nazionale e locale. Sappiamo però che le cose non andarono così: quelle idee di loggetta, o di casetta, o di serramento in legno realizzato semi-industrialmente in serie, entravano dentro una strategia politica, sociale, economica, definita e discussa con la complessità e trasparenza necessarie. Certamente contribuendo a darle una immagine più definita (molti si ricordano la forma di quelle casette, molti meno il programma di sviluppo che stava alle spalle e le giustificava), che ancora oggi in qualche modo testimonia a scala monumentale quel Piano Incremento Occupazione Operaia voluto dal Ministro del Lavoro e che aveva come seconda parte del titolo la Realizzazione di Case per Lavoratori. Non è gerarchia, ma logica.

Dovremmo ricordarcene, oggi che tutti hanno un proprio «progetto», per salvare il mondo, o più modestamente salvare Venezia, o il sistema dell'istruzione, o la filiera del legno, che prima di quel progetto ci sarebbe da risolvere il contesto dentro cui si cala. Gli stessi architetti modernisti e le avanguardie storiche artistiche che tracciano loro la strada novecentesca, coniando il famigerato e discutibile slogan progettuale «Dal Cucchiaio alla Città» non cercavano affatto un comodo bypass alla corrente di pensiero dominante, ritenendo invece di inserirsi dentro il processo di modernizzazione, urbanizzazione, industrializzazione, per migliorarlo grazie alle proprie critiche e competenze. Nessuno si sognava di cambiare poniamo composizione e ruolo delle famiglie nella società progettando un certo genere di alloggi familiari e aggregazioni urbanistiche, solo e al massimo seguire alcuni orientamenti politico-economici, che sostenevano o scoraggiavano certe soluzioni rispetto ad altre. Ovviamente si eccedeva in schematismi, o al contrario la consuetudine al progetto spaziale introduceva davvero innovazioni sociali di rilievo e successivi sviluppi, ma tutto consapevolmente dentro il modello di «progresso» accettato e difeso contro le immancabili critiche di solito reazionarie. Non tutto avveniva però consapevolmente, e quell'idea a ben vedere piuttosto strampalata e surreale di delega a «cambiare la società cambiando lo spazio» si è fatta strada tra le generazioni di professionisti. Magari ripensarci, abbassare i toni, potrebbe giovare a tutti, invece di contrapporre sempre sopra le righe il proprio infallibile progetto universale a quello altrui, mentre le cose vanno per conto proprio da un'altra parte.

Per ricordare il senso per nulla progettuale del citato Piano INA Casa vedi l'omonimo tag su La Città Conquistatrice (8 articoli sia d'epoca che critici contemporanei) 

L'architetto stilista bypass

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