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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

L'automobile in città e i suoi eroici paladini

Ogni tanto l'abbiamo visto tutti quel tizio, di solito sessanta-settantenne, che sta al volante o appoggiato alla portiera della sua auto, piazzata esattamente di traverso davanti all'ingresso del supermercato. Aspetta la «mujère» mentre lei gira imperiosa tra le scansie con quella replica dell'auto che è il carrello della spesa, sentendosi già democratico e progressista a sufficienza per averle affidato il portafoglio, o la tessera bancaria. Con tutta questa prodigalità già espressa, pareva troppo addirittura parcheggiare poco più in là, dove ci sono decine di piazzole vuote disponibili: è tanto più comodo starsene lì davanti, al massimo improvvisando una rissa verbale con chi lamenta ostruzione di pubblico passaggio. Li conoscono bene anche gli addetti alla vigilanza questi tizi, e di solito evitano scontri sanguinosi e inutili, sapendo di essere in minoranza disarmati della Vera Fede nel Liberalismo Automobilistico, vado dove e come mi pare perché il veicolo me lo consente. Veri paladini del veicolo a motore privato padrone assoluto del secolo scorso, e magari anche di un pezzo di quello attuale, insieme alle mamme vampire che si accapigliano in quinta fila davanti alle scuole, ai furgonisti terroristi perché «sto lavorando e da qualche parte devo pur stare», eccetera eccetera. Come si fa soltanto a iniziare, qualunque azione volta a contenere questa esuberanza umana, fisiologica, culturale, spontanea e alimentata da una fede quasi religiosa? Una bella domanda., che però deve necessariamente porsi chiunque voglia dare qualche senso all'idea molto in voga di «sostenibilità urbana».

Un tema tanto spinoso politicamente, da indurre spesso i nostri diplomaticissimi rappresentanti eletti a benintenzionati sofismi, o ad apparenti schizofrenie operative, quando si interviene sulle politiche urbane in qualche modo diretto o indiretto connesse all'auto. Sino al punto da presentare come singoli progetti puntuali e contestuali quelli che invece sono tasselli di qualche mosaico abbastanza leggibile, di contenimento dello strapotere automobilistico sulla città. Riduzione generalizzata delle sezioni di carreggiata che si propongono via via come miglioramento della viabilità pedonale in questo o quel punto, slargo, servizio, nodo. Sottrazioni di ambiti alla sosta – esplicitamente illegale ma accettata per usucapione, o fortemente impropria e invadente – dei veicoli, ribattezzate nuove idee di piazza, magari a seguito di qualche cantiere edilizio circoscritto, ma che di nuovo è ancora abbastanza facile ricomporre nelle intenzioni più generalizzate. Così facile che se ne accorgono anche i paladini dell'auto come protesi umana, e infatti insorgono inferociti, guidati dai propri nerboruti rappresentanti politici in genere di destra, a difendere quello che ritengono un diritto inalienabile: portarsi appresso quel guscio di lamiera ovunque, nello spazio privato così come in quello pubblico. Ma ci sono dei paladini dell'auto ancora più efficaci di loro, e stanno là dove non ci si aspetterebbe di trovarne: tra le file dei sedicenti «ambientalisti» o addirittura «antagonisti», ovvero di chi auspica sempre e comunque politiche alternative, paradigmi alternativi, utopie radicali, mica la squallida realtà. E naturalmente si professa favorevole a contenere o addirittura abolire le automobili, epperò …

In questi giorni a Milano si presenta ai cittadini un progetto che, cosa abbastanza rara, prova in qualche modo a sovrapporre – stato delle cose e delle norme consentendo – Trasporti e Urbanistica, nell'ambito di quello che viene qui e là definito correttamente «corridoio urbano», ovvero sintesi di spazi e flussi che si vorrebbero coordinare meglio di quanto avvenuto sinora. Complice l'assonanza politica e di intenti tra i due settori tecnico-amministrativi ancora ahimè separati e per legge responsabili di Piani altrettanto incomunicanti se non nelle pie intenzioni, la realizzazione della nuova Metropolitana Linea Quattro pone le premesse del progetto di corridoio urbano. Si tratta del ripristino degli spazi occupati in superficie per diversi anni e chilometri dagli ingombranti cantieri degli scavi sotterranei, e che guarda caso di nuovo viene presentato un po' sottotono, in forma di progetti locali rivolti ai cittadini con l'obiettivo via via di «implementare le aree pedonali; migliorare la ciclabilità; aumentare le superfici a verde; inserire nuove alberature» (Comune di Milano MM4, Rifacimenti superficiali M4 e aggiornamento Piano Quartieri, ottobre 2019). Probabile anzi certa la reazione immediata dei favorevoli o contrari al progetto, di solito individuabili nei cittadini frontisti o utenti pedonali, e negli automobilisti che vedono leso il proprio supposto diritto all'ubiquità. I primi discutendo della qualità di meli fioriti, cespugli, panchine, piste ciclabili e accessibilità ai giochi dei bambini, i secondi di fluidità del traffico e diritto a parcheggiare a un metro dal bar tabacchi videopoker. Ma c'è una terza categoria, come accennavo.

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immagine Comune di Milano MM4 

Ho provato ad accostare, ritagliandole tra pagine diverse del medesimo progetto, due opzioni differenti di sezione stradale per il «corridoio di ripristino MM4», a sottolineare come non si tratti semplicemente di scelte spaziali diverse, ma di due idee opposte di rapporto tra la città e l'auto. Una ricostruisce la striscia superficiale degli scavi secondo un grande viale urbano con una striscia a parco al centro; nell'altra opzione al centro stanno le corsie per le auto, e sui lati verde piste ciclabili e pedonalità a diretto contatto col fronte degli edifici. In sostanza scegliere di tenere le corsie di traffico in stretta relazione con gli affacci degli edifici e le funzioni urbane residenziali e commerciali, consente di gestire poi con relativa facilità (e con strumenti diversi, dalle normali regole sui limiti di velocità o la sosta a trasformazioni negli arredi ecc.) il traffico, rallentarlo, selezionarlo, costruire interfaccia. Relegare le corsie automobilistiche, come con la seconda possibilità, vuol dire di fatto promuovere flussi privilegiati veicolari da e verso il centro, limitando poi le possibilità di regolamentazione a interventi sulla sola mobilità, vigilanza, autovelox, oltre che non porre alcun ostacolo di rallentamento fisico; altro discorso poi è la indispensabilità, in questa seconda opzione, di veri e propri «svincoli» in prossimità degli incroci, che sottraggono inevitabilmente spazio a pedonalità, verde, continuità dei flussi non veicolari. Insomma chi si immagina che allontanare il traffico dalla città «pedonalizzando gli affacci» sia una scelta intelligente sui tempi medi, si ricreda.

Non scegliere esplicitamente tra le due possibilità, sembra una sorta di ambiguità politica, magari una indicibile quanto quasi fisiologica divergenza tra settore Mobilità e settore Urbanistica proprio su questi aspetti dove invece logica e buon senso vorrebbero vedere sovrapposizione. E si riponga troppa fiducia per la «politica di contenimento delle auto» in provvedimenti spot, alimentando di fatto quel genere di mobilità perché garantisce la comunicazione col suburbio e la rete autostradale. Magari nella speranza che ad altri livelli (motori elettrici, una Regione meno troglodita, un governo più attivo ...) si faccia il miracolo. Ma personalmente sono stato colpito dalle reazioni al post in cui esponevo con tanto di illustrazioni questa mia tesi: moltissimi commenti, la maggioranza dei commenti anzi, liquidando o forse non considerando affatto quel progetto ufficiale, deliberato, approvato dagli uffici competenti e proposto ai cittadini, si lanciava in «critiche» del tutto generiche, a volte (come spesso succede in ogni processo partecipativo) improvvisandosi esperti progettisti di settore, quando la questione lì pareva proprio il superare la divisione per settori. E più spesso rinviando sempre più in alto qualunque rimedio: la politica non si capiva bene a che livello e con che strumenti, la vigilanza e la repressione che nessuno si sognava di escludere, ma solo di rendere più efficaci in un ambiente diverso dalla superstrada, o il solito Senso Civico che non manca mai quando non si hanno altri argomenti. Sconcertante. E forse la dice lunga sul perché la politica pur lasciandosi ogni tanto sfuggire qualche dettaglio sulle proprie strategie, pare così restia a renderle pubbliche: forse teme rilanci del genere nel vuoto siderale, da parte dei veri ambientalisti che però il problema è ben altro. C'è qualche via d'uscita?

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