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Giovedì, 25 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

L'economia circolare urbana ai tempi del design

Nel nostro paese spesso (come molto di recente) si discute del ruolo delle Primarie nel designare o eleggere candidati a questo o quel ruolo, a quanto siano democratiche oppure meno, a quanto siano davvero espressione di volontà popolare matura oppure strumento ideologico di dominio del consenso, eccetera eccetera. Qualche volta, abbastanza raramente, si fanno paragoni con analoghe contese in altri paesi, e ancor più raramente si mette nel conto di queste comparazioni la vera, fondamentale differenza, quella che divide la democrazia da un cupo o festoso assemblearismo un po' caciarone: da un lato un meccanismo sperimentato e normale di funzionamento di partiti e istituzioni, dall'altro pura discrezionalità con «regole» che sono tali quasi per caso, durano pochissimo prima di essere messe in discussione e ribaltate, localmente o universalmente. Il medesimo genere di fastidiosa «confusione democratica» che si è verificato di recente col Piano Piazze Partecipate del Comune di Milano: si tratta di una regola? Di un giochino per bambini cresciuti solo in peso fisico? Di una sperimentazione da laboratorio sociale con cavie senza coda e soprattutto senza consapevolezza di essere trattate da tali? Ah: saperlo!

Queste Primarie della Trasformazione Urbana, decise da chissà chi e chissà perché, si possono collocare come ufficioso inizio in un piccolo episodio di «guerrilla planning» passato forse un po' troppo rapidamente nel dimenticatoio: la pista ciclabile pirata sulla rampa del cavalcavia Bussa. Così come successo più o meno nello stesso periodo a Roma, un gruppo di cittadini aveva scavalcato la storica inerzia pubblica in materia di sicurezza della mobilità dolce, costruendosi di soppiatto e di notte un breve passaggio riservato in un punto pericolosissimo della viabilità, dove i ciclisti (per i pedoni c'era la possibilità di altre scappatoie) erano praticamente obbligati a lanciarsi contromano giù per una discesa da cui risalivano con pessima visibilità automobili a velocità media e medio-alta. Dopo una serie di tira e molla, condanne ufficiali, discussioni pubbliche e probabilmente sottobanco in qualche corridoio, la stessa pubblica amministrazione decise di farsi carico del problema, praticamente mettendo il timbro su quella soluzione provvisoria fai da te e poco altro, in attesa del «progetto organico di trasformazione», che dopo lunghissimi mesi, anni, nessuno ha ancora visto. Ma non è questo il punto: dal punto di vista del metodo e della sostanza, stavamo già con tutti e due i piedi dentro il processo internazionalmente noto e praticato della cosiddetta Urbanistica Tattica, una specie di prodotto collaterale del New Urbanism di origine americana tesa a formalizzare e standardizzare forme di partecipazione spontanea e anche conflittuale, riconducendole alle virtù della normale evoluzione urbanistica. Salvo che a Milano nessuno pare essersene accorto, né in quello né in altri casi: qui è Urbanistica Tattica solo quello che classifica come tale il Comune stesso, il resto no.

E arriviamo a quella curiosa classificazione, che compare sulla stampa in occasione delle due «piazze riconsegnate ai cittadini» nei quartieri di Dergano e Corvetto, quando vengono cancellati e/o spostati alcuni posti auto davvero mal concepiti e organizzati, per lasciar spazio invece ad una provvisoria libera espressione di uso sociale del medesimo ambito. In teoria per farlo sarebbero bastati dei nastri da cantiere o dei cavalletti, ma ovvi motivi estetici e simbolici hanno indotto a un adeguato «trattamento architettonico superficiale» per cui la Piazza Tattica in attesa di diventare Strategica e definitiva, veniva delimitata da panchine, fioriere, e soprattutto da caratteristici cerchi multicolori tracciati a terra: Platea Tattica di Design. Il problema, complice anche una stampa frettolosa e confusa, è che il pubblico ha finito per mescolare fini e mezzi, identificando alla fine la Urbanistica Tattica non tanto come una forma di partecipazione dei cittadini che assume l'assetto variabile dell'uso temporaneo, della trasformazione autogestita, o simili, ma come una iniziativa tutta pubblica e istituzionale di verniciatura dell'asfalto, certamente più simpatica della mezzeria stradale o delle piazzole di sosta, ma concettualmente identica. Ne è prova il fatto che, alla nuova ondata di Piazze annunciate come Tattiche, tutti si stiano già chiedendo: «e i cerchi colorati? ci sono?» come se fosse quello il centro di tutto. Forse sarebbe ora che qualcuno si ricordasse di spiegare cos'è la partecipazione, a cosa serve, come si può o si dovrebbe declinare. E che pitturare per terra per quanto divertente non c'entra con la democrazia, ma solo con gli imbianchini.

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