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Giovedì, 25 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

La bicicletta biologica

L'altro giorno c'era un tizio che scriveva una lettera furibonda su un periodico di questioni urbane, scagliandosi contro l'idea cosiddetta delle bici contromano, o meglio senso unico eccetto bici. Come accade abbastanza spesso, il fustigatore delle ipotesi di riforma del codice della strada non parlava a vanvera, così per dire, ma sviluppava un suo ragionamento abbastanza fondato, citando esempi, e ne concludeva che in fondo ha ragione il ministro Lupi: consentire alla biciclette di procedere contromano vuol dire solo diminuire pericolosamente la sicurezza, e non contribuire affatto a una migliore circolazione del traffico. Tutte ottime argomentazioni, le sue, finché non veniva l'idea di provare a rileggerla, quella apparentemente ponderata lettera.

A partire proprio dal concetto base di contromano. Perché al sottoscritto capita infinite volte di procedere contromano, e per una infinita serie di motivi: sono davvero un pervertito scavezzacollo attentatore della pubblica sicurezza? Si procede contromano andando da un punto all'altro e seguendo più o meno il percorso a minor resistenza, quello suggerito dalle svolte obbligatorie, dalla posizione di partenza e di arrivo di ciascun tratto intermedio, dalla eventuale pianificazione dell'interfaccia fra un segmento e l'altro del viaggio, dal caso o da altri vincoli contestuali. Si procede contromano anche del tutto legalmente, quando l'unica pista ciclabile realizzata a caro prezzo coi soldi delle tasse è stata costruita come si dice “a scomputo di oneri di urbanizzazione”, ovvero un costruttore ne ha costruiti dei tratti sul lato della strada dove ci sono i suoi condomini o il suo supermercato, ma non sull'altro. Sull'altro lato della strada, diciamo dopo qualche centinaio di metri che ne sono del tutto privi, la pista ciclabile ricomincia perché un altro costruttore ancora ne ha realizzato un altro tratto, e così zigzagando (magari pure con dei surreali semafori a bottone e a carico del contribuente).

E poi mi viene in mente quel curioso posto nelle ultime propaggini del parco agricolo, dove la campagna si è mescolata alla città solo nella testa degli abitanti. Nel senso che su un lato e sull'altro dell'immensa distesa di campi ci stanno dei quartieri abitati, e in mezzo campi coltivati, agricoltura urbana nel senso che sia i contadini che gli altri che frequentano il posto sono cittadini al 100% in tutte le abitudini e le culture, niente elegantoni che guardano dall'alto in basso qualche sempliciotto dalle mani callose, ricambiati con la stessa moneta. Succede che in quella zona di campagna i classicissimi sentieri poderali, che altrove durano in pratica giusto il tempo dei lavori agricoli, per essere poi spazzati via da cause naturali o umane, vengono invece sfruttati esattamente come se fossimo in un giardino all'inglese. Basta passarci a esempio in un pomeriggio di bel tempo, specie adesso che è autunno e la vegetazione è più rada, per notare flussi continui di macchioline colorate che si spostano su e giù in tutte le direzioni. Più lenti i gruppi di pedoni coi cani, più rapidi i ciclisti, ancora più rapidi quando capita i mezzi a motore dei contadini. Si incrociano, su e giù, destra sinistra, e ovviamente nessuno si scontra perché nessuno in questo ambiente - assai urbano salvo la densità edilizia e di asfalto inesistente – ha mai pensato al concetto di contromano. Forse bisognerebbe portarli qui, un pomeriggio, tutti quei teorici del traffico col cervello bruciato dalla centralità automobilistica che forse si sono bevuti col latte. Un po' di immersione nel traffico bio, ma del tutto urbano anzi metropolitano, certo non risolverebbe tutti i problemi, figuriamoci, ma non farebbe altro che bene.

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