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Giovedì, 25 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

La tattica sbagliata della comunicazione urbana

Che un progettista critichi i progetti altrui fa parte non solo delle regole professionali, ma anche del dovere di contribuire al progresso delle conoscenze. Naturalmente la qualità del contributo dipende dal tipo di critiche oltre che dalle intenzioni del tutto soggettivo con cui vengono formulate. Mentre ce ne sono alcune, di queste critiche, assolutamente incomprensibili: a meno di non accompagnarle ad una diagnosi di schizofrenia conclamata. Mi riferisco qui alla cosiddetta Urbanistica Tattica così come messa in campo e percepita dall'opinione pubblica, professionale o no, a Milano da qualche tempo. In realtà a ben vedere non pareva affatto una operazione del tipo che negli USA hanno appunto definito «tactical urbanism», ma solo la puntuale riproduzione di alcuni dei suoi strumenti di trasformazione povera e provvisoria dello spazio urbano, in particolare il programma Asphalt Paint della Bloomberg Philantropies, in cui assai simbolicamente gruppi di cittadini supportati dalla pubblica amministrazione si riappropriavano di spazi pubblici riverniciandoli in colori vistosi. Tutto ciò a premessa della tattica vera e propria a sua volta pronta ad essere partecipe di una strategia.

Ovvero schematizzando ma non oltre il dovuto: 1) il cittadino insieme all'amministrazione conviene sul degrado o uso improprio di uno spazio pubblico; 2) con strumenti poveri di trasformazione (il colore delle superfici, arredi spartani e barriere) si delimita il campo della trasformazione d'uso sperimentale puntuale; 3) la sperimentazione di dispiega socialmente attirando cittadini verso gli spazi contrassegnati e delimitati, coinvolgendo anche quelli limitrofi ed eventualmente di connessione con altri ambiti simili, ad allargare il campo della trasformazione virtuale; 4) dopo un certo periodo di assestamento e osservazione dell'uso collettivo di quello spazio, esistono le premesse perché l'amministrazione meglio informata, o di nuovo in collaborazione coi cittadini associati, investa strategicamente per trasformazioni definitive che si inseriscono in un piano, di cui quei colori sull'asfalto erano solo l'araldo annunciatore di copertina. Ma c'è qualcosa che non va, perché molti, troppi, parlano di quei colori come se fossero la trasformazione vera e propria.

Litigano anche animosamente su quale genere di pennellata sia lecito o migliore o democratico o artistico o urbanistico. E chi e come deve decidere sugli schemi geometrici disegnati sull'asfalto, i materiali delle fioriere, su quanto sia progressista o conservatore mettere un tavolino da ping pong davanti o dietro le panchine di legno grezzo riciclato. È come se una discussione anche importante sulla cucina e l'alimentazione vedesse tutti i protagonisti iniziare a scannarsi per come si impugna e si agita la saliera, scordandosi di un tema centrale di cui però nessuno in realtà ha mai parlato chiaramente. Perché qui sta il punto: la vera «tattica» sembra concentrarsi nella narrazione, che confonde la parte col tutto, nella stessa contestazione degli esperti che confonde egualmente: si dicono prima contrari al progetto di colore sull'asfalto perché «brutto e banale»; poi scordandosi di tutti i passaggi intermedi, una volta arrivati alla trasformazione definitiva la ri-contestano come se fosse sbucata dal nulla, e non frutto di quel processo strategico e partecipato articolato per passaggi successivi. E resta il dubbio che purtroppo la comunicazione pubblica faccia pochissimo per dircelo chiaro e in termini comprensibili a tutti, che esiste un disegno più ampio di cui quei passaggi sono solo tappe intermedie. Magari cambiare narrazione e comunicazione aiuterebbe molto anche chi comunica, a capire meglio quel che sta decidendo.

La Città Conquistatrice – L'imbianchino urbanista
 

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