Le grandi opere stradali per la salvezza della patria
Capita di leggere in questi giorni che sarebbe addirittura la onnipotente NATO (quella che di fatto ci impone da sempre la sua idea di Europa, fin dove come e perché) a fortemente volere il Ponte di Messina nel quadro del "Trans-European Transport Network, il progetto di mobilità europea pensato per migliorare i collegamenti all’interno dell’Unione anche in un’ottica militare e di cui fa parte, in Italia, anche la Tav. Le aziende che costruiranno il ponte vantano nel loro portfolio lavori di ampliamento di basi dell’Alleanza atlantica" come ci spiega un articolo da Domani del 21 luglio. A parte il tono pratico sbrigativo e pochissimo drammatico questo accostamento tra imprese costruttrici, basi, e reti di collegamento, fa pensare alla cupa definizione medio-novecentesca di "Complesso Militar-Industriale" con cui nel 1961 il Presidente Eisenhower dava il suo ultimo saluto al Paese, avvertendolo dei rischi incombenti sul futuro. Un futuro appunto potenzialmente egemonizzato dalla fortissima lobby-plutocrazia emersa dalla guerra, ancora più consolidata dalla guerra fredda contro il socialismo sovietico, e disposta ad avanzare sui propri cingoli materiali e culturali e politici triturando ogni ostacolo. Anche e soprattutto quello del bene comune.
E il rapporto inestricabile tra complesso militar-industriale e grandi opere sul territorio, il Presidente Dwight Eisenhower lo conosceva molto bene sin dal remoto 1919, quando appena terminata la Grande Guerra in Europa, con una partecipazione collaterale ma importante degli Stati Uniti d'America, da giovane Tenente Colonnello si univa al Transcontinental Motor Convoy partito il 7 luglio da Washington e diretto a San Francisco. Il Brigadiere Generale Charles B. Drake, comandante in capo delle truppe motorizzate di recente istituzione, dichiarava: "Contiamo con questa spedizione transcontinentale di un convoglio dell'Esercito di dimostrare pubblicamente a che punto sia arrivata e possa in futuro arrivare l'applicazione dei veicoli a motore a scopi militari, che tanto ha già contribuito alla vittoria nella Grande Guerra. Speriamo anche che il viaggio, oltre a fornire dati e informazioni così come richiesto dal Dipartimento della Guerra, possa servire a spingere verso la realizzazione di un sistema stradale transicontinentale di connessione inter-Stati, e di collegamento sia tra le esigenze della difesa che dello sviluppo economico".
Quasi mezzo secolo dopo l'ex tenente colonnello Dwight Eisenhower, aggregato a quel convoglio, diventato Presidente degli Stati Uniti, approvava lo Interstate Highway Act 1956, di cui del resto si possono trovare ampi precedenti nel padiglione Futurama della Fiera Mondiale di New York 1939, curato dal designer Norman Bel Geddes per conto della General Motors: tracciati autostradali, organizzazione, gestione. Ovvero interessi militari e strategie di sviluppo nazionale, basate sul veicolo a motore, le strade, le reti di rifornimento, il mondo delle costruzioni, dei finanziamenti, della rendita urbana e territoriale. Quello che poi appunto preoccuperà a fine mandato il Presidente: il «Complesso Militar-Industriale», che non guarda in faccia a nessuno. Non guarda in faccia per esempio ai veri scopi dello sviluppo sociale e ambientale locale, magari in una prospettiva ambientale, o agricola, o climatica, o energetica. Perché ben altri sono i suoi scopi: oggi allargare il campo di influenza della NATO. Domani chissà. Pensiamoci quando vedremo ancora pubblicate queste notizie su quanto è utile andare dalla caserma Edterle di Vicenza alla base di Sigonella sfrecciando in mimetica sul Ponte di Messina, da casello a casello.