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Venerdì, 29 Marzo 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Libera concorrenza in città

Quando immaginiamo il dispiegarsi della libera concorrenza in uno spazio urbano, automaticamente compaiono le immagini di attività economiche varie, produttive e soprattutto commerciali: il chiosco che si immagina di proporre il trancio di pizza col cartoccio portatile per i ragazzi della scuola all’angolo, o il negozio di scarpe che si fa progettare dall’architetto una vetrina curva che dovrebbe attirare i curiosi che guardano i prezzi più vicino all’ingresso. Pensando a negozi e simili, però, ci dimentichiamo la principale – e potenzialmente spietata - libera concorrenza che da sempre si sviluppa nelle città, e cioè quella per il controllo e uso dello spazio. L’urbanistica in sostanza nasce da qui: dall’impossibilità di affidare questi aspetti alla pura competizione. C’è un bellissimo vecchio cartone animato di Bruno Bozzetto, che racconta bene una crescita urbana del genere, con tutti che spingono per realizzare edifici più grandi, vasti, torreggianti, sino a distruggere di fatto il resto, rendendo la città inabitabile. Bisogna darsi una regolata, e dato che i singoli non sono in grado ci deve pensare la collettività, a produrre e migliorare regole.

La cosa non vale solo per quel tipo di occupazione fissa dello spazio rappresentato dagli edifici, ma anche per quella provvisoria di persone e mezzi in movimento. Perché in fondo, cos’è un incidente stradale se non una versione assai brusca della concorrenza nell’occupare contemporaneamente il medesimo punto? E anche qui arrivano le regole, che di solito pensiamo come regole di comportamento, diciamo così di relazione. Regole come quelle che stanno alla base dell’idea di spazi condivisi: l’ambito pubblico della strada e della piazza inteso come «tabula rasa» liberamente accessibile, all’interno del quale si sviluppano relazioni perfette e complesse come quelle di una coreografia. Liberismo circolatorio, tempo fa sostenuto (e ti pareva?) da qualche conservatore britannico col progetto di fare piazza pulita delle «carabattole stradali», che invece per qualunque utente sono di fatto «la città».

Cartelli, arredi, margini, dislivelli fra carreggiata e marciapiede, cordoli, segnaletica orizzontale, e chi più ne ha più ne metta. In pratica, col liberismo stradale lo spazio parrebbe destinato ad assomigliare parecchio a una di quelle piazze di De Chirico (o a certi disegni degli architetti razionalisti) in cui edifici, arredi, arte pubblica, stanno posati su un piano neutro e uniforme, condiviso da chiunque passi da lì. Chiunque, dal disabile, magari non vedente, al ragazzino su skateboard, al cafoncello neopatentato con l’auto di mammà. Così si dovrebbe mirare all’autocostruzione di nuove regole sociali non scritte per coabitare armoniosamente la via in sicurezza. Spazio a rischio, lo giudicano invece in tantissimi, e non a caso nel tempo sono nate tante cose come le piste ciclabili riservate, gli attraversamenti a livello semaforizzati o le passerelle, le corsie veloci sopraelevate o in trincea. Perché è giusto non fare segregazione, promuovere relazioni (come è giusto che convivano negozi in concorrenza su una stessa via, o magari edifici che gareggiano in altezza) tra ciclisti, pedoni, mezzi pubblici, e in sicurezza anche auto private. Ma pretendere che esista la Mano Invisibile del Buon Senso vuol dire essere un po’ fanatici, per non dire ottusi.

Su La Città Conquistatrice una intera sezione dedicata alla Mobilità Dolce

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