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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Localismo malattia senile del conservatorismo

Luciano Bianciardi nel suo bonario sarcasmo li aveva già collocati ordinatamente nel suo Gotha delle Macchiette all'Italiana, quelli che allora si definivano cultori del decoro e della storia, e che oggi qualcuno con audace balzo logico definisce difensori dell'ambiente: localisti, gente che l'orizzonte ristretto non solo lo pratica ma addirittura lo vanta. E magari addirittura chi legge queste righe già potrebbe obiettare: ma come? non è forse, l'operare su scala ridotta e controllabile, una declinazione spontanea e popolare del grande slogan Agire Localmente Pensare Globalmente? Invece pare proprio lo speculare contrario: il localista, il conservazionista militante di base, il nimby comitatista sfegatato in gran parte esprimono un pensiero limitatissimo dal proprio orticello, che poi molto meccanicamente viene proiettato con processo induttivo acritico sul cosiddetto globale. Proteggo gelosamente il mio cortile «per salvare il pianeta» dal riscaldamento globale, calcolando in modo goffo e improprio che se il tiglio tagliato lo moltiplicassimo per dieci milioni la temperatura media annua si abbasserebbe di un decimo di milione di punto, e quindi … Quante volte abbiamo ascoltato o addirittura letto nero su bianco ragionamenti di questo tipo? Senza alcun dubbio in ottima fede, ma con quale senso sociale, culturale, politico, e infine ambientalista? Giusto sintomi di disagio.

Il fatto è che come già avvertiva uno studioso critico della partecipazione urbana nel periodo del suo massimo dispiegamento novecentesco, sia istituzionale che sociale, il nodo sta nella consapevolezza di esprimere sempre una prospettiva parziale: di lettura, di sintesi, di espressione dei bisogni. E ciò vale per ogni soggetto, che sia lo specialista tecnico-scientifico, il cittadino uomo della strada o suo rappresentante assembleare-associativo autoproclamato, o il decisore finale eletto. Il quale in fondo dovrebbe saper dimostrare di agire in qualche modo in malafede, ovvero nella perfetta consapevolezza della propria imperfezione, anche se dichiara quella la soluzione migliore per tutti dato che si tratta in fondo del suo mestiere. Alla base di tutto c'è la necessità di sapere, e soprattutto di conoscere i limiti del proprio sapere (esattamente quel che manca agli appassionati dell'induzione localista per inciso), come non sottolineò mai a sufficienza la seminale Commissione Skeffington britannica, per quanta attenzione i resoconti parlamentari ponessero nella divulgazione scientifico-tecnica e nei mezzi di comunicazione per renderla accessibile al massimo. E tutto ciò in una situazione come quella degli anni '60-'70 in cui non esistevano certo tutte le potenzialità di oggi quanto a capillarità della comunicazione. Le quali rendono davvero vergognoso il perdurare di alcuni atteggiamenti pubblici e privati in materia di partecipazione e conflitti nelle trasformazioni urbane.

Il che ci fa tornare al localismo da cui eravamo partiti, e in particolare alla sua accezione di idea del mondo ristretta costretta dagli orizzonti limitati: ha senso in una società che si dice dell'informazione? Ha senso quando quegli orizzonti sono per definizione invece infiniti? Il processo di conoscenza per esperienza diretta e pura induzione così normale nei non specialisti fino a non molto tempo fa, anche perché era l'unico disponibile, oggi smette di essere obbligato. Con tutte le informazioni disponibili online (sempre che chi promuove la partecipazione dei cittadini le voglia davvero rendere accessibili e comprensibili) anche chi non ha altra esperienza urbana di quella che vede dal proprio tinello può se non altro farsi un'idea generale, comparata,sapere ciò che sa e ciò che ignora, dentro quale contesto si forma la sua opinione, smettere di essere soggettivo egoista ignorante. Questo non fa certo di lui un esperto, se non di quel che più gli interessa, ovvero abitare consapevolmente il proprio spazio e contribuire a migliorarlo da quel punto di vista. Niente Piccoli Architetti e Ingegneri allo Sbaraglio. Soprattutto manovrati dai furbacchioni di turno. Non è l'utopia democratica in terra, figuriamoci, ma un bel passo in avanti rispetto all'intruppamento di opinione si, senz'altro.

La Città Conquistatrice – Micheal Fagence, Contraddizioni nelle pratiche di partecipazione urbana, 1977

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