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Giovedì, 25 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Lupi e agnelli nel commercio urbano

Nel suo “La ricchezza delle nazioni” (1776) Adam Smith si sofferma abbastanza a lungo sugli interscambi quotidiani fra la città e il suo contado, osservando come questi rappresentino la ragione economica stessa dell’esistenza del nodo urbano. Lo schema abbastanza facile da intuire è quello di un bacino strettamente locale: c’è uno spazio fittamente costruito, magari circondato dalle mura, e tutto attorno un anello di campagne coltivate, dai cui nuclei sparsi, magari una mattina si e tre no, si muovono piccoli convogli di carri, che si mettono poi in fila al varco nelle mura per pagare il dazio, e infine cominciano alle prime luci dell’alba a distribuire nella città i prodotti tra le botteghe, o a organizzare il mercato nella piazza centrale. Ovviamente già ai tempi di Adam Smith questa immagine idilliaca da quadretto ideale rappresentava solo una parte della realtà, perché sia nei centri grandi che in quelli più piccolini (che ancora oggi si chiamano market-town, nella classificazione anglosassone) le file dei carri si allungavano virtualmente di parecchio, e non si trattava solo di carri, ma anche di imbarcazioni, che superavano distanze enormi per portare prodotti rari, o semplicemente migliori e a minor costo. Gli antenati di quella che oggi chiamiamo convenzionalmente globalizzazione.

Dentro a questa globalizzazione di oggi, altrettanto convenzionalmente la nostra sensibilità spontanea ci spinge a fare una specie di classifica tra i buoni e i cattivi del mercato, inteso più o meno come l’antico mercato rionale. Schematicamente, ci appaiono buoni tutti quelli che in un modo o nell’altro assomigliano agli antichi contadini in marcia all’alba verso il mercato, piccoli operatori con furgoni traballanti che sistemano la piazzola all’angolo tutti i mercoledì, per offrire la loro varietà di verdure di stagione, o abbigliamento a prezzi stracciati, o oggettistica varia. Per contro i cattivi sarebbero i discendenti dei grandi vascelli spuntati dall’orizzonte con carichi misteriosi (anche se poi si è capito che di misterioso non c’era nulla), ovvero la grande distribuzione organizzata, le catene dei marchi globali, gli scatoloni e scatolini riconoscibili piazzati dentro la zona pedonalizzata, o peggio disposti fuori dalle mura in un assedio di scatoloni dalle insegne al neon. Ma la nostra distinzione spontanea fra buoni e cattivi, quasi sempre non si traduce però in istinto a comportamenti pratici: una quota crescente della nostra spesa, indipendentemente dai gusti espressi, va verso i cattivi degli scatoloni globali, e questo tende alla rarefazione degli operatori tradizionali da mercato rionale. Si può fare qualcosa per invertire la tendenza? Probabilmente si, e sta nell’aumentare il tasso di bontà di questi operatori locali.

Botteghe e bancarelle ci appaiono istintivamente buone perché evocano quel bacino socialmente e ambientalmente virtuoso evocato da Adam Smith, ma di fatto (basta anche una occhiata frettolosa ai prodotti proposti) spesso altro non sono che un segmento come tanti del mercato globale, sotto le mentite spoglie dell’aspetto amichevole e sottotono. Se vogliamo davvero che diventino buoni, di una qualità loro e particolare, questi operatori devono poter recuperare proprio la dimensione locale perduta, magari anche grazie a un oculato intervento delle amministrazioni pubbliche. Gli strumenti sono vari, ma di sicuro dovrebbero pescare un po’ meno nello scimmiottare i grandi, ad esempio evitando quelle dizioni patetiche di «centro commerciale naturale», e un po’ di più nel valorizzare specificità. Il mercato è luogo di incontro ravvicinato, ambiente di interscambio complesso, sia sociale che commerciale, riferito privilegiatamente a un bacino locale. In fondo basta interpretare in senso lato ma onestamente lo slogan di moda del km0, e la cosa può valere sia per le verdure che per tante altri aspetti. Così si valorizza ciò che effettivamente è locale, lasciando altri innegabili ma riconoscibili vantaggi parziali a chi non teme concorrenza, ovvero i grandi operatori. Perché il cliente ha sempre ragione, e bisogna riconoscerlo anche quando, stufo di farsi prendere in giro dai dal genuino falso, va a spendere da chi dichiara orgoglioso la propria artificialità. Ricordiamocene, ogni volta che difendiamo a prescindere qualsiasi bancarella contro qualsiasi frigo dei surgelati.

Su La Città Conquistatrice una lunga serie di articoli internazionali sul tema del commercio urbano 

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