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Martedì, 23 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Mean Streets

La cronaca degli incidenti che nelle nostre vie urbane coinvolgono dei ciclisti, quelli più gravi e mortali che finiscono appunto in cronaca, in fondo per i giornalisti di locale sembra una specie di modulo prestampato da compilare nelle parti in bianco: le iniziali o i nomi delle persone, precisazioni toponomastiche, e il magico conclusivo “le circostanze sono al vaglio degli inquirenti”. Purtroppo al vaglio degli inquirenti sfugge il sottotraccia alla base di tutto quanto, la cosa che travalica comportamenti individuali, circostanze specifiche, eventuali contravvenzioni alle regole: la forma delle città, costruite per decenni attorno al modello automobilistico. La fluidità del traffico, comunque intesa, pare un dogma accettato passivamente da tutti, mentre dovrebbe davvero saltare all'occhio la vera e propria strage che comporta l'organizzazione delle nostre vie.

L'ultimo fatto tragico, nel Nord-Est: un ragazzo che andava a scuola in bicicletta ucciso da un camion. Anche lì la stampa ci parla di circostanze al vaglio degli inquirenti, ma per caso allega all'articolo una foto che spiega tutto a chi si dà la pena di una seconda occhiata allo scorcio del telaio accartocciato sotto le gomme del mezzo pesante. Sta tutta lì, la spiegazione, nella forma classicamente micidiale della carreggiata, con la corsia centrale per i mezzi a motore, il marciapiede laterale, e nel mezzo la terra di nessuno da spartire tra auto in sosta (si vedono chiaramente le strisce) e due ruote. Il medesimo ambiente in cui ad esempio migliaia e migliaia di volte al giorno, ma questo di solito la cronaca non ce lo racconta, la mamma di fretta per recuperare il pupo a scuola, o il rappresentante di commercio coi campionari, spalancano di colpo la portiera rovinando la giornata o la settimana al ciclista di passaggio. E a volte si risentono pure per l'impudenza di questi pirati su due ruote.

E poi l'incavo dei tombini in agguato (quelle asfaltature degli appalti “a regola d'arte”) che ti fa scartare all'improvviso di qualche decina di centimetri verso il centro della carreggiata. E infine, naturalmente, l'ormai leggendario punto cieco dei mezzi pesanti, che quando il ciclista l'hanno superato smettono di vederlo. Su quello c'è addirittura una ampia pubblicistica internazionale, e la nuova amministrazione progressista di New York ha addirittura organizzato delle animazioni di strada e di scuola, rivolte specie ai bambini ma non solo, sui pericoli del blind spot. Ecco, sarebbe questo insieme di cose, l'oggetto da vagliare, per i cosiddetti inquirenti. Com'è fatta la città, e come si potrebbe farla diversamente? E invece tra accuse generiche alla fatalità imprevedibile, e fantasiosi costosissimi progetti di archistar per piste svolazzanti in aria, il ciclista (e il pedone) vengono lasciati soli in quella terra di nessuno.

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