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Giovedì, 25 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Le ragioni di No Expo (oggi)

Escono in questi giorni le rilevazioni di medio periodo sull'andamento degli affari negli esercizi commerciali di Milano, e si nota come i mesi del grande evento espositivo abbiano o meno avuto effetti di stimolo sulle economie cittadine. Le interviste ai campioni di turisti sembrano quasi completamente soddisfacenti, nel senso che la quasi totalità «promuove» Milano, le sue particolarità storiche e curiosità, l'offerta culturale delle mostre ed eventi collaterali. 

Questo entusiasmo però non parrebbe complessivamente riguardare il genere di cose di cui bene o male si alimenta la cosiddetta economia turistica, quella fatta di ristorazione, shopping eccetera. Lo dicono i baristi e i titolari di negozi, soprattutto fuori dal piccolissimo nucleo del centro e dei suoi triangoli magici degli stilisti e concentrazioni di folle. E viene di nuovo da ripetere quella specie di nenia del «noi l'avevamo detto», o per meglio specificare l'aveva detto in fondo fin dall'inizio l'opposizione dei No Expo.

Certo, come tutte le posizioni variamente nimby e negazioniste, anche quella del movimento contrario all'evento doveva-poteva essere interpretata, più che alimentata o contrastata, dato che c'erano ottime ragioni, a partire da una contraddizione di fondo: non si organizza una esposizione sui temi della sostenibilità pensando in termini insostenibili. Pare una contraddizione diciamo così filosofica, se non campata decisamente per aria, ma non lo è affatto. «Nutrire il Pianeta – Energia per la Vita» nel XXI secolo evoca immediatamente, specie per un pubblico di massa mediamente istruito e interessato, stili di vita e alimentazione in qualche misura innovativi, futuribili, sperimentali, certamente diversi dalla pura pappatoria, sia essa quella della trattoria dell'angolo che della pausa pranzo tramezzino in ufficio. E invece fin da subito le cosiddette «strategie» prevalenti negli organizzatori, foraggiate dalle multinazionali, hanno remato nell'altra direzione. Quando al progetto del cosiddetto Orto Planetario, molto leggero e organizzativamente diffuso, si è preferita la classicissima Fiera della Pappatoria dentro il suo recito da parco tematico.

Quando, in pratica, si è rinunciato a sfruttare in sinergia quella risorsa che era il territorio urbano e agricolo della metropoli, scegliendo invece il modello del centro commerciale suburbano chiuso nella propria scatola luccicante, che offre tutto e il contrario di tutto con comodi parcheggi e offerta tre per due. Culturalmente, e poi in modo automatico anche nei criteri organizzativi e negli equilibri, si è finito così per replicare il classico processo di concentrazione/svuotamento che da almeno mezzo secolo mette la grande distribuzione sia contro i produttori e trasformatori di materie prime, sia contro gli esercenti tradizionali.

Quella specie di Disneyland costruita fra i due tracciati autostradali ai limiti dell'area urbana, svolge perfettamente quel ruolo di aspiratore di tutto quanto, e insieme di banalizzazione, essendo progettata da manuale in quel modo.

E tradisce il proprio ruolo dichiarato, anche se poi ospita dotti convegni sull'ambiente e la sostenibilità, i quali convegni e dichiarazioni non intaccano lo slogan alla McLuhan: «il medium è il messaggio». Ecco dove avevano assolutamente ragione, e ancora de l'hanno, i No Expo: anche alla luce delle apparentemente pretestuose polemiche degli esercenti locali, appare evidente che si deve cambiare strada, e farlo abbastanza alla svelta.

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