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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Partecipazione urbana e specialisti

«Ho incontrato architetti che pensano che i processi partecipativi siano fare “una cosa” web in cui raccogliere qualche osservazione, far vedere foto, dimostrare che sono avvenuti incontri; e mi viene in mente “giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio delle cose” di Nanni Moretti». Così l'economista Fabrizio Barca intervistato dall'autorevole Giornale dell'Architettura sui temi dello sviluppo locale nelle cosiddette aree interne, un po' serio un po' faceto fotografa lo stato dell'arte di alcuni conflitti più o meno ben governati nelle trasformazioni urbane e territoriali. Appena postata questa breve citazione dell'ex Ministro per la Coesione territoriale sul mio profilo Facebook, leggo di seguito due interessantissimi commenti. Il primo è di Mario De Gasperi ex Sindaco di un comune metropolitano, che ricorda sarcasticamente di aver sentito in passato parecchi colleghi rassicurare sul fatto che per quel dato progetto «la partecipazione l'abbiamo fatta giovedì» e dunque sbrigata quella formalità burocratica si può senz'altro procedere alle fase successive. Il secondo commento è dell'architetto Manuel Marchioro, che osserva come il tipo di partecipazione dei cittadini alle trasformazioni urbane più in voga oggi, consista nel «mostrare i rendering prima alla popolazione che alla stampa». Un po' seri un po' faceti come Fabrizio Barca, anche questi due osservatori del fenomeno partecipazione ai nostri tempi ne colgono però molto bene un aspetto: quello di essere considerata un fastidio.

E per forza viene da dire, visto che si tratta puntualmente di una indebita interferenza nel lavoro di chi ne capisce, di chi ha una prospettiva adeguata su qualunque scelta. Certamente più adeguata di quanti anelano a «partecipare» sparando a caso qualcosa ma pretendendo di essere rispettati e messi alla pari di chi in un modo o nell'altro studia la questione da anni, decenni, secoli. Sin dai tempi del primo dibattito pubblico contemporaneo sulla partecipazione democratica alle politiche urbane, si scontrano legittimamente queste due prospettive: la prima del cittadino che sentendosi di fatto committente destinatario e finanziatore di quelle scelte pretende di condizionarle; la seconda del tecnico amministratore politico o investitore che ritiene (di solito a ragione) di esprimere una prospettiva più orientata sia agli interessi particolari, sia alla loro ricaduta qualsivoglia in vantaggi per tutti, e soprattutto in «svantaggi ammortizzati». Il fatto vero è che i progetti dovrebbero essere redatti da chi ne capisce qualcosa, altrimenti sono sciocchezze: ma capire qualcosa esattamente in che modo? Il tecnico coglie le esigenze del suo committente privato o pubblico diretto e le interpreta. Il pubblico destinatario diciamo non-specialista contesta quel punto di vista e propone un controprogetto, più spesso molti controprogetti ciascuno a riflettere una particolare esigenza. Nessuno ha ragione, come ovvio.

E non si è mai davvero risolto nulla quando l'una parte convince l'altra delle proprie ragioni, magari attraverso una laboriosa mediazione come avviene in tanti «processi partecipativi del giovedì» per citare la battuta qui sopra. Ma in epoca pre-mediatica e pre-tecnologica di fatto l'unico metodo sia tecnicamente che socialmente efficace pareva quello: confrontare o far scontrare i vari progetti come se si trattasse di una sorta di concorso di idee, con un arbitro di solito rappresentato dalla pubblica amministrazione, e far vincere l'ipotesi migliore, magari un cocktail tra le varie proposte. Ancora oggi di fatto proprio nel social network degli esperti improvvisati e dei cittadini indignati pare accada così: ci sono gli articoli o i rendering proposti dalla stampa o da altri soggetti, con la grande trasformazione ipotizzata, e fioccano le alternative radicali o correttive che siano. In genere cogliendo qualche scaglia del tutto secondaria della vera questione, già predisposte per porgere l'altra guancia al colpo retorico finale: «Abbiamo accettato la proposta per le panchine gialle della Signora Pina!». Quando l'oggetto di contestazione vera magari era un'autostrada urbana o la scarsa considerazione dei soggetti deboli. Se invece, come consentono tanti banalissimi strumenti tecnologici in grado di passare da una piccola idea a un concetto più ampio, si ragionasse per scenari alternativi affrontando un bisogno (la mobilità, la trasparenza, le relazioni, le gerarchie spaziali) magari eviteremmo tanti arbitri e tanti errori. Ma occorre consapevolezza, soprattutto da parte dei decisori pubblici eletti e dei loro tecnici di riferimento.

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