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Martedì, 23 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Per la sicurezza basta un cartello?

Tutte le volte che si verifica qualche incidente di particolare gravità, o con vittime che ispirano particolare simpatia, torna il dibattito sulla limitazione della velocità. Giusto, e sicuramente più sensato di quella stupidaggine vendicativa (e soprattutto successiva all’incidente) del cosiddetto omicidio stradale. Prevenire è molto meglio che vendicare, e far sì che le auto procedano a cinquanta o trenta all’ora nei quartieri residenziali è un’ottima cosa. L’unica vera politica per arginare la prepotenza dell’auto: una prepotenza automatica, anche quando al volante c’è qualcuno per nulla prepotente di suo.

Le variabili che determinano la velocità, però, sono molte, e la questione complicata: di sicuro non basterà mai una voce minacciosa che tuona minacce, né interiore per la memoria del famoso reato di omicidio, né esteriore quando a parlare sono i cartelli, o il segnalatore lampeggiante della velocità, o le apparentemente più tangibili raffiche di multe (e ricorsi). La vera variabile su cui lavorare sono le nostre città, sono quelle la cosa da cambiare: intervento facilissimo nei centri storici, ma molto meno altrove. Forse è per questo che certa politica perde tempo con le minacce e i cartelli, che in fondo non richiedono tanto pensiero.

I quartieri più antichi, quelli costruiti all’epoca in cui le automobili non esistevano, in fondo sono già molto adatti allo scopo di una maggiore sicurezza: basta decidere di eliminare le «migliorie» introdotte negli anni più recenti, e fare qualche altro intervento per ripristinare in pieno quello che gli anglosassoni chiamano «pedestrian-friendly environment», e che fino a non molto tempo fa si chiamava, semplicemente, città. Certo tutto questo rischia di scontrarsi coi tanti interessi sedimentati nel tempo, da chi ritiene un diritto costituzionale andare ovunque come gli pare in auto, alle attività economiche che su questa incredibile permissività hanno costruito la propria organizzazione. Ma la materia prima su cui lavorare, lo spazio di per sé spontaneamente pedonale, esiste.

Ma nelle zone moderne, quelle progettate soprattutto nella seconda metà del Novecento nella scia del mito futurista e/o modernista della velocità e della meccanica, è tutta un’altra storia. Occorrerebbe più o meno ripartire da zero, stravolgendo in tutto o in gran parte i rapporti fra edifici, strade, spazi privati e collettivi. Solo per dirne una, che ne è della sicurezza quando un ampio spazio diventa inaccessibile ai veicoli? Insomma bisogna riflettere, pensare, mediare, concordare. Ovvero proprio la cosa che alla maggior parte dei nostri assessori piace pochissimo.

Intanto anche nelle zone classificate 30 i risultati stentano ad arrivare, almeno per adesso e almeno dal punto di vista dei comportamenti. Ci sono certamente quei cartelli. Dritti sul marciapiede, stagliati contro il cielo sulla prospettiva della strada. Sono la cosa più facile da riprendere per le telecamere. Mentre basta girare lo sguardo dall’altra parte per vedere la città scorrere rischiosa e automobilistica come sempre.

Su La Città Conquistatrice molti testi, attuali e storici, dedicati alla Mobilità a Motore

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