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Sabato, 20 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Piano-programma contro progetto

Mi capita di scambiare alcune argomentate battute con un noto urbanista su un grande progetto di «riqualificazione urbana» che come sempre accade ha scaldato parecchio e ancora sta scaldando gli animi di molti. All'origine di tutto ci sarebbe il cosiddetto zoning, ovvero qualcosa di assai circoscrivibile e definibile, ma in realtà la questione è molto più ampia, e quella solo la punta dell'iceberg su cui noialtri possiamo operare, sperando di tenere adeguatamente conto di ciò che sta (più che invisibile come negli iceberg veri, diciamo meno gestibile) sotto la superficie. La riqualificazione urbana del caso riguarda un profondo mutamento di abitudini collettive che ha reso obsoleto uno storico spazio urbano molto specificamente ad esse dedicato, a cui lo zoning ha risposto diciamo così «de-specializzando» quei luoghi e aprendo lo spazio per l'ingresso di nuovi soggetti: proprietari, operatori delle trasformazioni, utenti. Da lì nascono poi i progetti su cui si può concordare o meno, ovviamente, ma che si dovrebbero valutare tenendo almeno conto di tutti quegli aspetti e soggetti, delle risorse che si devono comunque mettere in campo, dei costi che comportano la trasformazione o non-trasformazione. Credo che gira e rigira su quel nodo si possa focalizzare una ragionevole distinzione tra il piano o meglio programma pubblico-collettivo coi suoi contenuti sociali politici e ambientali, e il progetto di trasformazione con un obiettivo infinitamente più puntuale e rigido, anche se derivante dalla medesima filiera di interessi, solo ricomposti con equilibri assai diversi.

La destra liberale del nostro paese da un certo tempo (calcolabile grosso modo su un paio di generazioni) sta sviluppando a modo proprio queste premesse ha elaborato una specie di ribaltamento di senso, in cui il progetto particolare prevale sul piano generale, costituendone una delle componenti determinanti nel momento stesso in cui viene formulato, una «variante generale automatica». Questa concezione salvo vere e proprie bocciature costituzionali si è imposta anche in qualche modo sul piano del diritto, producendo piani regolatori che non erano tali, e regole che in premessa negavano l'esistenza di regole, già predisposte a cambiare al minimo sentore di inadeguatezza alla novità: cambia il mercato, deve istantaneamente e coerentemente cambiare tutto. Ma anche la sinistra politica, sia soprattutto in passato ma anche in parte oggi, ha effettuato un suo ribaltamento di senso piano-progetto, confondendo l'uno con l'altro, ovvero costruendo regole-gabbie troppo rigide e che non accoglievano adeguatamente né la complessità né le evoluzioni sociali. Forse una risposta a questo genere di polarizzazione senza visibile sbocco sta nel riconoscere una autonomia assai maggiore alle due prospettive, ad esempio separando come avviene in alcuni contesti il programma detto planning, dalla regola attuativa cogente che ad esso fa riferimento, ovvero lo zoning. Il quale regola la trasformazione fisica ma deve dipendere da ben altro.

Altrimenti il rischio è che non esista più una dialettica vitale tra le manifestazioni individuali dei bisogni in evoluzione, progettini o progettoni che siano, e qualche genere di aspirazione di più lungo periodo, complessa, elastica, pure in divenire. Che tutto si riduca a quel genere di scontro dove una opzione ben individuata prevale su un'altra altrettanto puntuale, fisiologica quando le trasformazioni sono contenute, potenzialmente negativa quando sostituiscono su vasta scala la complessità e il lungo periodo. Sta succedendo per esempio in campo ambientale, là dove la complessità della trasformazione urbana e dei suoi equilibri con ciò che dentro di essa è vivo-naturale, include ben altro da quanto si può comprendere in una logica di progetto, per quanto grande. Dove gli obiettivi dovrebbero essere di larga massima, verificabili in quantità di emissioni, o energia consumata (e da che fonti), o risorse non rinnovabili obliterate, e quindi poter intrecciare indifferentemente vari aspetti, ben oltre quelli meccanico-edilizi o poco più. E dove invece paiono pullulare gli approcci puramente progettuali e settoriali, specie del tipo «indiscutibilmente virtuoso» ovvero che è piuttosto scomodo contestare, dato che paradigmaticamente si propone amico dell'ambiente. Dalla piantumazione di milioni di alberi, alla pedonalizzazione di piazze, all'introduzione di mezzi di trasporto meno inquinanti, a forme edilizie innovative: ma perseguono davvero quel che dicono, oppure al contrario si affastellano alla rinfusa dichiarando buone intenzioni non verificabili, e anzi contraddicono una programmazione generale virtuosa? La storia ci suggerirebbe questa seconda ipotesi: il progetto risponde sempre a un interesse particolare.

La Città Conquistatrice – Fra piano e progetto la differenza salta agli occhi

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