rotate-mobile
Giovedì, 25 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Piano Regolatore o vi Regolate da Soli?

Una delle frasi più note in assoluto nella storia sociale delle città è quella pronunciata non si sa bene da chi e in che occasione (girano parecchie leggende a proposito) ma che suona significativa: «Cosa ce ne facciamo del vostro Piano Regolatore, noi sappiamo benissimo regolarci da soli». Ad esprimere la classica cinica spontanea ribellione dell'interesse individuale privato ai lacci e laccioli pubblici, considerati pura sadica oppressione autoritaria della creatività innovativa. Ma come, paiono dire, io ho un magnifico progetto per le mani, che avvantaggerebbe in fondo tutti, e voi grigi squallidi burocrati mi venite a tarpare le ali con quelle vostre idee preconcette, muffe e stantie prima ancora di essere nate? E forse la chiave di tutto la si trova proprio in quella parola «progetto», che prefigura scenari di scontro tra l'uno e l'altro progetto, tra l'una e l'altra individualità e particolarità, da cui emerge vincitore chi sa regolarsi meglio. Mentre invece ci sarebbe da mettere a fuoco l'altro componente, ovvero la «regola», per troppo tempo distorta: nella interpretazione degli interessi particolari certo, ma non solo. Esiste qualche elemento di confusione anche altrove, e ben sedimentato nel tempo e nelle culture: non a caso si dice correntemente «Progetto di Piano Regolatore», e questo suscita l'orrore di certi liberali da quattro soldi del tipo che abbonda in alcuni ambienti. Ma non senza ragione.

Non è certo un caso se negli ultimi scorci del secolo scorso si approvavano leggi e norme per costruire cornici di «Non-Piano» che le regole le escludeva in linea di principio fungendo solo da contenitore di progetti ad assetto variabile. Al punto da riportare nero su bianco in alcuni casi: «Il Piano varia automaticamente al variare dei Progetti». Più chiaro di così. Era determinata, quella scrollata di stampo reazionario privatistico, dalla direzione opposta imboccata decenni prima dal Piano, sempre più simile a un progetto anziché a un metodo, a una regola. Evoluzione/involuzione che si deve al ruolo centrale assunto a partire dal primo '900 (prima non era affatto così) dagli architetti nella formazione di quegli elaborati, delle leggi che li regolavano, degli obiettivi che si ponevano. A quelli che erano progettisti per eccellenza, pareva ovvio, naturale, virtuoso, che anche il programma di sviluppo spaziale cittadino assumesse le forme che meglio conoscevano e apprezzavano, ovvero quelle di un progetto, elaborato secondo criteri pubblici, collettivi, aperti ed elastici, ma nondimeno progetto, decisamente alternativo ad altri progetti, anzi potenzialmente a tutti, gli altri progetti, piccoli o grandi. Che per quanto benintenzionato, ragionato, pensato per rispondere davvero a tutte le esigenze possibili e immaginabili, pareva fatto apposta per suscitare le ire di qualcuno «non disposto a farsi regolare»: quella non era affatto una regola, ma una imposizione bella e buona, da schivare, aggirare, ignorare in ogni modo.

Inutile dire che tutto il ragionamento è piuttosto forzato e inquadrato in una prospettiva molto particolare. Ma sta di fatto che una certa parte della insofferenza alle regole deriva proprio dal loro non essere davvero tali, ovvero dal loro voler prescrivere un po' troppo, finendo per non essere affatto condivisibili. La soluzione però non sta certo come praticata sinora piuttosto malamente, nel cercare in qualche misura il liberi tutti, che finisce per creare problemi del tutto identici, anche se forse meno vistosi visto che lo scontro tra progetti avviene tra grandi schemi di grandi attori, e piccole risposte alle esigenze di piccoli soggetti. E neppure nel ritagliare recinti limitati dentro cui quell'approccio liberi tutti si possa scatenare a volontà, pur in forma segregata. La soluzione sta forse nell'allargare e restringere maglie al tempo stesso, ovvero comprendere nella regolazione non più solo la qualità fisica degli spazi, ma anche i flussi materiali e immateriali, gli obiettivi ambientali, quelli di carattere socioeconomico generale e analoghi, purché connessi a filo diretto con l'organizzazione di edifici, strade, verde, strutture e impianti. Ma comprendendo tutti questi temi fissarne anche gli obiettivi in senso verificabilmente generale, senza scendere ad alcun dettaglio progettuale, lasciando libertà di iniziativa a chi investe condividendo lo spirito e la sostanza della regolazione. Se tutto appare troppo filosofico o ambiguo, se ne può parlare.

La Città Conquistatrice – l'Urbanista 

Si parla di

Piano Regolatore o vi Regolate da Soli?

Today è in caricamento