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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Primarie in bicicletta

Tra le oggettive differenze fra un approccio politico liberale tradizionale e uno riformista di neo-sinistra, sta certamente l'idea del contributo che può dare l'impresa privata, o più in generale l'interesse privato, al progresso sociale. Schematizzando al massimo, si può dire che l'approccio conservatore considera comunque positivo l'interesse particolare, perché poi ci penserà la Mano Invisibile del Mercato a redistribuire ricchezza, vantaggi, progressi. Assai più cauto l'atteggiamento delle sinistre e dei progressisti su questo punto: gli interessi particolari possono certamente dare un contributo fondamentale a quello generale, ma resta sempre da valutare e governare il modo in cui ciò deve avvenire (per esempio con la leva fiscale, o attraverso controlli, o condivisione di obiettivi comuni partecipati). Ma tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare, e quando passiamo da cose relativamente semplici e «filosofiche» come la ricchezza delle nazioni, all'esplosione di interessi di una città contemporanea, le differenze tra destra e sinistra, o addirittura fra interessi particolari e generali, si fanno molto più sfumate e ingarbugliate. Figuriamoci quando dobbiamo distinguere vedendoci gli interessi sfrecciare davanti in bicicletta.

Mi riferisco al genere di minestrone mentale rimescolato tra i concetti di ambiente, mobilità dolce, abitabilità dei quartieri, sicurezza, e il cui sapore è sempre dominato dalla centralità del mezzo a due ruote e due pedali, inteso come totem, le cui componenti (del minestrone totem) non si possono mai discutere salvo essere accusati di intelligenza col nemico, o peggio. Perché gli interessi particolari di cui si compone questo minestrone alla bicicletta funzionano esattamente come nell'iniziale distinzione fra destra e sinistra, fra liberali e riformisti, comunque li vogliamo chiamare e distinguere: c'è da un lato l'idea che l'interesse particolare sia buono a prescindere, e l'altra secondo cui va invece sempre guardato con un certo sospetto, perché deve dimostrarla, la sua effettiva utilità. Per esempio qualche tempo fa hanno spopolato sui quotidiani quelle statistiche che dicevano più o meno: cresce esponenzialmente il mercato delle biciclette, buone notizie per l'ambiente urbano. Oppure ci sono i soliti sindaci, assessori, operatori o associazioni, che sciorinano altre statistiche sui chilometri di piste ciclabili, accostandole a concetti analoghi. E la solfa si replica anche per roba minore al limite del caricaturale, come il mercato degli accessori, dai fanalini lampeggianti ai cestini ai poncho antipioggia, gadget da regalo. La domanda suona: sarà poi vero che tutta questa pur legittima roba ha un rapporto qualsivoglia, e soprattutto tanto lineare e esiziale, con un ambiente migliore?

Oggi, inverno 2016 con il riscaldarsi delle campagne elettorali per le prossime amministrative di primavera, pare di rivedere il solito film, e si leggono comunicati di candidati che sul tema mobilità sostenibile incontrano (cito con copia incolla da uno di questi comunicati): «associazioni, gruppi spontanei, corrieri, attività commerciali, ciclofficine, professionisti». Il che va benissimo, ovvio, ma insinua al solito l'idea della bicicletta come classe operaia o libera iniziativa del terzo millennio, categoria dello spirito aderendo alla quale l'anima sarà salva e il futuro si spalancherà radioso davanti a noi. Dovrebbe essere ovvio, evidente, che non è affatto così: chi vende le biciclette o ripara le biciclette, in sé e per sé, dovrebbe essere del tutto disinteressato all'uso che se ne fa. E la cosa si capisce per esempio quando poi certe discussioni pubbliche mescolano nel solito indistinguibile minestrone il ciclismo urbano e quello sportivo o di largo raggio (che non hanno alcun rapporto salvo negozi e fabbriche), o si calcolano le infrastrutture un tanto al quintale, sport questo assai caro alla «politica del fare», ma ancora privo di reali collegamenti lineari alla qualità urbana. Chissà che qualcuno non elabori una bella app da telefonino, in grado di calcolare le sciocchezze sbraitate in nome di questa nuova fede, decisamente sospetta ai miei occhi di religioso di lungo corso, pedalante da mezzo secolo e passa, e che non ha mai toccato gli effetti ambientali miracolosi di questo o quel boom di interessi privati.

Su La Città Conquistatrice la Mobilità Dolce prova una prospettiva diversa. 

Primarie in bicicletta

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