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Venerdì, 19 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Quant'è scemo il green

La tradizione e la storia vendono sempre benissimo, come sanno da tempo gli organizzatori di quelle sagre contadine tradizionali, che affondano le radici nel lontano passato di qualche giorno prima della decisione di tenerle, inventandosele di sana pianta e farcendole di industrialissimi prodotti in genere senza alcun rapporto particolare col luogo. Ha fatto ancor meglio quel signore intraprendente che si è inventato un «Anfiteatro Berico» in forme giganti e classicheggianti, mettendo in giro voci vaghe sul trattarsi di «antico monumento sepolto dai secoli e riportato alla luce solo di recente» mentre invece da quelle parti nei secoli c'erano solo simpatiche zolle di terra erbosa, prima di quell'enorme e piuttosto spudorato abuso edilizio nuovo di zecca per quanto anticato. Deve essere l'ansia di non assomigliare neppure alla lontana (almeno nella percezione del pubblico non specializzato) ad aver consigliato i progettisti dell'Amphitheatrum Naturae milanese, una sorta di Circo Minimo cittadino in cui con vaga somiglianza a quello Massimo romano lo spazio urbano monumentale-archeologico non lancia il suo monito dall'alto di secoli di pietra, ma da apparentemente più naturali terrapieni piantumati a erba, cespugli e alberi.

Come sempre accade, la questione in sé resterebbe confinata alle specificità di quel singolo del tutto legittimo progetto di recupero, per giunta benedetto dalla Sovrintendenza che ne capisce assai sul contenuto culturale delle antichità e il loro valore contemporaneo, se non fosse per qualche curioso indizio giornalistico. Ben riassunto quando qualcuno convinto di essere brillante si sbilancia qualificando quel Colosseo padano recuperato «il pendant opposto, ribaltato di duemila anni e in orizzontale, del grattacielo del Bosco Verticale». Con una narrazione che se forse non allarma affatto l'archistar mediatica delle arcinote torri residenziali di Porta Nuova, almeno dovrebbe incuriosire il progettista del ripristino archeologico «green»: cosa diavolo possono avere in comune quelle due cose, almeno fuori dai meandri mentali di chi voleva scrivere qualcosa di acchiappaclick? Nulla, assolutamente nulla, se non quelle innegabili fronde, che però ormai vengono usate a fungere da window dressing per qualunque cosa.

Qualche anno fa mi accadde di leggere un articolo (di studioso qualificato anche se su una rivista per nulla scientifica) dove tranquillamente dopo la sovrapposizione - per giunta solo virtuale e letteraria - di terrapieni e filari di alberi ondeggianti si operava una vera e propria mistica transustanziazione: quelle decine e decine di chilometri di corsie d'asfalto e svincoli e bretelle, si trasformavano miracolosamente in «parco lineare» grazie a quelle che burocraticamente si chiamano «compatibilizzazioni», ma che evidentemente avevano autentici poteri sovrannaturali. Almeno nelle chiacchiere forse implicitamente prezzolate dell'esperto, desideroso di promuovere le proprie capacità tecnico-letterarie sul mercato ad ogni costo. Perché il verde, la natura, è sacro a prescindere, a nessuno è concesso criticarlo senza incappare in accuse incredibili, in sostanza di essere contronatura. E così via a spron battuto ad avvolgere di «green» qualunque cretinata, anche quanto con l'ambiente e l'ambientalismo non hanno proprio nulla a che fare, come certe casette a forma di fungo ma di solido cemento piazzate in mezzo a un bosco insieme ai loro parcheggi e strade di pertinenza, e quindi classificate parte di quel bosco, invece che impatto ambientale. O altre case analoghe addirittura sopra gli alberi a imitare quella dei fumetti di Qui Quo Qua, ma che invece a vedere meglio diventano «invece degli alberi», col surreale sottobosco di veicoli in sosta e rotatorie di traffico. Forse sarebbe davvero meglio dare un po' più di peso alle parole che si usano.

La Città Conquistatrice – Sostenibilità

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