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Venerdì, 29 Marzo 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Quei temerari delle macchine volanti

Nelle illustrazioni pittoresche da cartolina fine '800 o primo '900, fanno spesso capolino quei curiosi tizi vestiti di tutto punto, completi di baffi, marsina, cappello e fiore sul bavero, che solcano i cieli di una città a cavallo di improbabili trabiccoli volanti. Dirigibili a pedali, variazioni sul tema delle ali di Leonardo, o magari qualcosa di assai più simile ai prototipi che vari inventori stanno sviluppando nei garage del mondo, e che di lì a poco spiccheranno davvero il volo, inaugurando l'epopea dell'aviazione moderna. Ma c'è qualcosa che dovrebbe farci sorridere molto di più, di fronte all'ingenuità dei nostri antenati, e non sono certo le forme improbabili dei veicoli sospesi in aria: a sorprenderci è quella forma della città che sta là sotto, apparentemente immutabile, con le guglie delle cattedrali che adesso (nella cartolina) servono come una specie di boa per invertire la rotta aerea del pedalatori baffuti, o i viali lontani percorsi dalle carrozzine di gente che ci immaginiamo col naso per aria ad ammirare gli eroi. Non è certo quella, l'immagine che inizia a farsi strada nella testa degli ingegneri impegnati sul serio nell'immaginare prototipi di aeromobili.

Lo sanno benissimo, i progettisti, che per atterrare e decollare qualunque trabiccolo ha bisogno di impianti, e quegli impianti hanno bisogno di spazio, e quello spazio farà meglio a trovarsi in un posto un po' più a portata di mano della guglia della cattedrale, rispetto alla città e agli altri posti che si vorranno raggiungere volando.

Ed è solo il primo passo del ragionamento complesso degli inventori e primi pionieri imprenditori: la città e le campagne dovranno cambiare radicalmente, man mano si dispiegheranno altri effetti delle macchine volanti. Certo i nostri eroi non si immaginano gli hub aeroportuali, i collegamenti navetta, le levatacce per far corrispondere certe coincidenze, ma che il futuro sia identico al presente salvo le macchinette sospese in aria, quello di sicuro non lo pensano, sarebbero degli sciocchi. Se facciamo un salto in avanti di qualche generazione, verso gli anni '30 del secolo successivo, lo vediamo molto più chiaramente il modo di pensare dei pionieri di innovazione tecnologica e imprenditoriale. Già l'industriale per eccellenza dell'automobile Henry Ford l'aveva intuito: la prima cosa da cambiare è lo spazio, che dovrà adattarsi al nuovo modo di percorrerlo, e ovviamente anche la società che ci sta dentro (al veicolo e allo spazio). Lo intuiscono confusamente gli italiani a metà anni '20, trasferendo su larga scala da Milano ai Laghi lombardi il concetto di pista ad alta velocità e inventando la prima autostrada del mondo. Ma saranno i tedeschi prima, e gli americani subito dopo, a capire che quel bellissimo giocattolo deve smettere di essere tale per farsi sistema, e appunto sostituirsi alla città tradizionale.

L'automobile in sé conta, ma è solo il nucleo attorno a cui gira tutto il resto, eccome se gira! Nasce da nulla, in questo vortice, la dispersione urbana come alternativa alla città: alternativa meccanica, ma poi sociale, economica, la nuova macchina dei consumi e dell'immaginario. E arriviamo ai nostri giorni, quelli del clima che cambia, delle energie alternative e delle nuove invenzioni tecnologiche, per esempio smartphone e auto senza pilota. Ma l'informazione pare ancora inchiodata a quelle cartoline coi signori baffuti che svolazzano attorno alla guglia della cattedrale col dirigibile a pedali.

La macchina automobilistica-autostradale ha prodotto sull'arco di quasi un secolo quella dispersione urbana dentro cui, più o meno (salvo qualche deserto, foresta, cocuzzolo di montagna o isoletta remota) abitiamo virtualmente tutti. Ormai da qualche anno la saldatura fra i due settori industriali del '900, auto e computer, sta studiando quella diavoleria che si chiama «driverless car», un mezzo di trasporto meccanico terrestre che funziona automaticamente grazie all'elettronica sofisticata.

E che, esattamente come succedeva nel cielo cittadino delle antiche macchine volanti, potrebbe anche spostarsi dentro il territorio della dispersione autostradale in cui è nato. Però l'automobile senza pilota, come prima di lei tante altre innovazioni, induce automaticamente cambiamenti radicali, molto più estesi del solo poter leggere il giornale mente si va in giro. Suvvia, abbiamo una scorta di parecchi decenni di esempi, a confermarlo. Le macchine volanti hanno prodotto gli aeroporti, il sogno di fare il pilota o la hostess, il low cost e il turismo mordi e fuggi in destinazioni esotiche.

La carrozza senza cavalli con motore a scoppio ha ribaltato letteralmente il mondo, tra problema dei parcheggi, suburbanizzazione, nascita della rete autostradale e di tutta la miriade di diavolerie connesse, dall'autogrill al centro commerciale, agli sterminati suburbi di casalinghe disperate immerse in un soffocante verde finto. Provare a immaginare cosa succede davvero, cancellando il guidatore (e cancellando il parcheggio, e cancellando le strade salvo il concetto di appoggio delle ruote, e cancellando magari la benzina, e il concetto di manutenzione e proprietà …) non dovrebbe essere difficile. Altrimenti ci sentiremo presi per i fondelli, come succede sin troppo spesso.


Su La Città Conquistatrice, per esempio, gli effetti di un secolo di Autostrade

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