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Giovedì, 25 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Il Salone del Mobile e la città

Sono passati tanti anni, ma evidentemente sono passati via come acqua fresca: non abbiamo ancora capito l'antifona. Ovvero che quella storia secondo cui un cucchiaio e una città sono più o meno la stessa cosa, è una bellissima immagine, evoca fantasie, ma non deve essere presa troppo alla lettera. Chissà perché alcune cose le capiamo benissimo, ad esempio che la casalinga felice coi tacchi a spillo mentre passa lo straccio sul pavimento non esiste, oppure che l'operaio glorioso sventolante bandiere sopra grossi ingranaggi, lindo sorridente e senza calli, sta solo sui manifesti. A noi tocca, praticamente per contratto col genere umano, il compito di trasformare quell'immaginario in gesti quotidiani, e di migliorare così la vita nostra e altrui. Ma col cucchiaio e la città pare che ci siano dei problemi.

Un po' di colpa ce l'hanno gli architetti, e la loro fascinosa intuizione da progettisti: dai nostri tavoli da disegno escono sia oggetti di arredamento che interi quartieri, ergo tra le due cose esiste un rapporto stretto, al punto da poterle considerare una sola. Noi ci siamo cascati come pere cotte, in questo spot pubblicitario professionale, legittimo ma un po' fuorviante, e ce ne vorrà parecchio di tempo per uscirne, ma bisogna provarci. Ad esempio col Salone del Mobile, cantato anche dall'attuale presidente del consiglio dei ministri come motore della rinascita nazionale: appunto, dal cucchiaio alla città, dal design allo sviluppo sociale per tutti. Milano capitale economica del paese trasformata in una specie di rivista patinata, coi quartieri ex industriali che pullulano di facce sorridenti, eventi di strada, gente col bicchiere in mano che discute davanti a un cancello arrugginito molto vintage. Il cancello era lì anche ieri, ma adesso chissà perché fa valore aggiunto, tendenza, reddito e prospettiva futura. Dov'è il trucco?

Per scoprirlo, il trucco, bisogna idealmente "chiudere la rivista", ovvero aspettare che i designers scandinavi e giapponesi risalgano in aereo, i chioschi dei panini a prezzi stellari tornino davanti alle università er la pausa pranzo, e dietro il cancello arrugginito rispunti l'officina o il gommista. Cos'è restato, di quel mondo effimero, del cucchiaio che prova a rimestare la città? L'unica traccia, a orologeria, pronta a esplodere, è quella dei valori immobiliari gonfiati, che rischiano di svuotare di vita quei quartieri ex industriali apparentemente resuscitati dal fashion design. Ma forse in fondo ha ragione il presidente del consiglio col suo ottimismo, esiste un aspetto buono della faccenda, solo bisogna sfruttarlo al meglio.

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