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Giovedì, 18 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Se abbiamo paura dei cinghiali, che facciamo coi leoni?

Il caso della famiglia di anziani assalita in Sicilia da un branco di cinghiali, e delle ennesime richieste di intervenire con le «maniere forti» contro gli animali, ripropone l'ormai ricorrente tema dell'equilibrio fra presenze umane e natura in aree abitate, ovvero virtualmente ormai dappertutto. Tornano in mente certe norme e avvisi pubblici, di non molte generazioni fa, quando all'alba del XX secolo industriale si avvisavano mediante affissione di manifesti, gli abitanti delle periferie urbane, che lì era vietata la caccia al cervo, oppure iniziava il pericolo di incontrare lupi. Nulla di nuovo in sé, ma nuova era senz'altro l'idea della possibile confusione fra ciò che era città, implicitamente regno dell'artificiale, e ciò che era campagna o foresta, trionfo del naturale dove l'uomo si avventurava a proprio rischio e pericolo. Soprattutto dall'avvento del trasporto automobilistico in poi, però, sia l'idea di periferia che di espansione delle attività umane sul territorio cambiano radicalmente, confondendo i termini dell'equilibrio che si credeva ovvio. L'essere umano, in qualche modo spontaneamente «urbano» ovvero tendente ad asservire l'ambiente alle proprie necessità, vorrebbe farlo ovunque, ma la natura reagisce adattandosi nei modi più impensati e cercando diversi equilibri, non sempre comprensibili. Fino ai conflitti, alle sorprese, spesso assai sgradite, ma che non dovrebbero affatto sorprendere.

Da decenni si parla delle nuove specie animali urbane, ovvero di esemplari che mescolano con successo le proprie abitudini e istinti ancestrali al nuovo ambiente che è cresciuto attorno a loro: volpi, cinghiali, lupi, e naturalmente ogni genere di roditori, uccelli, rettili, insetti, anfibi, tutti a cercarsi una propria nicchia nel nuovo sistema naturale/artificiale della metropoli contemporanea, vuoi nella forma tradizionale compatta, vuoi in quella dispersa che alterna campi, svincoli autostradali, capannoni, altri campi … La questione si fa più intricata, ma al tempo stesso più chiara, introducendo il nuovo concetto di infrastrutture verdi. Si tratta, tecnicamente, di accettare l'urbanizzazione del pianeta come fatto incontrovertibile, ma di ridurne sensibilmente gli impatti e i rischi rendendo assai più «naturale» la città, ovvero inserendo nei suoi tessuti e impianti cose per nulla artificiali: superfici a verde, piante, animali, a svolgere funzioni che un tempo erano affidate a tubi, cavi, condotti, impianti. Questo passaggio dalle infrastrutture grigie alle infrastrutture verdi, dal confine netto fra città e campagna a una più sfumata compenetrazione, significa però il ritorno «dentro le mura» dei cicli naturali, e delle catene alimentari relative.

Insomma lo sappiamo tutti che la natura funziona in modo circolare, e che il nostro mondo artificiale sinora ha contato su certi «servizi dell'ecosistema» in modo esagerato. Questa circolarità comprende il rapporto prede/predatori, entro un certo limite, perché i rapporti fra le specie animali non sono certo quelli di certe clip molto popolari sui social network, dove tutte le specie si amano e si coccolano. Se cresce l'erba, qualcuno la mangerà, e qualcuno si mangerà l'erbivoro, per chiudere il cerchio. Per usare un esempio classico, quando gli aeroporti sono invasi dagli stormi di uccelli spesso si introducono i rapaci, o magari i rapaci arrivano di propria iniziativa a sfoltire quella fauna invadente. Lo stesso succede con le volpi in città che si mangiano i topi, ma poi può arrivare qualcosa a mangiarsi le volpi, e qualcosa di più grosso ancora. Molti studi sulla diffusione del coyote nelle metropoli americane, rilevano questa ineluttabile tendenza, all'arrivo (già avvenuto in molti casi) di predatori più grandi, e addirittura pare non sia infrequente nelle periferie africane la presenza di grandi leoni adulti fra le case, colti anche a frugare nei bidoni della spazzatura. Chi sogna una «rinaturalizzazione della città» deve imparare a fare i conti anche con questi ineluttabili aspetti, anche se niente paura: non è atterrato Predator. Siamo noi ad aver invaso il suo territorio, siamo sempre noi la bestia più pericolosa. Meglio non scordarlo.

Su La Città Conquistatrice moltissimi articoli dedicati al rapporto fra natura e ambiente urbano
 

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