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Giovedì, 25 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Piazza urbana o Shopping Mall?

Prima che la crisi economica del 2008 e la spietata concorrenza del commercio online colpissero pesantemente il settore, gli operatori immobiliari americani si erano inventati lo stravagante formato del cosiddetto Lifestyle Center. Dove residenze, negozi, servizi, spazi comuni, si organizzavano secondo la «idea di città dello scatolone» ben nota ai progettisti e utenti di centri commerciali: un contenitore unico, proiettato al proprio interno, e finalizzato unicamente a ciò che lì dentro accade, principalmente scambi economici e dintorni. Su siti e periodici vicini allo International Council for Shopping Centers o allo Urban Land Institute, principali sponsor di quel formato modello, si accumularono per anni anche narrazioni spontanee o addomesticate di famiglie che sceglievano di andarci ad abitare, in quegli appartamenti affacciati sulla «food court» anziché su un normale cortile, ad assistere al passaggio di clienti anziché di cittadini, ermeticamente chiusi dentro l'ambiente gestito per la loro serenità e sicurezza dal mall management, tanto più efficiente di qualunque amministratore di condominio o municipale. Anche nel nostro paese accadeva pur in forme decisamente folkloristiche qualcosa di analogo, quando dopo la realizzazione di quei caratteristici outlet village, con la composizione dei negozi che imitava una specie di centro storico in stile, i manager raccontavano di parecchi clienti interessati a comprare un appartamento, e piuttosto delusi quando gli si rispondeva che no, quelle finestre, abbaini, loggette visibili al «secondo piano» erano rigorosamente finti, non c'erano alloggi nel centro commerciale dei marchi griffati.

Questa lunga premessa per arrivare al punto centrale, ovvero alla mia scoperta inusitata di abitare se non proprio fisicamente dentro, almeno molto inserito e integrato in un contesto di centro commerciale. È successo pochi giorni fa, leggendo la notizia di un nuovo programma comunale sui mercati coperti pubblici, per trasformarli in spazi molto moderni, multifunzione, aperti anche ad attività assai diverse dalle solite botteghe e chioschi. Riguardava, quel programma partorito da un assessorato alle attività economiche, anche l'edificio del Mercato coperto su cui si affaccia il mio caseggiato, al centro di una piazza di cui ha rappresentato e ancora oggi da edificio vuoto e dismesso rappresenta. Una piazza però non ufficialmente riconosciuta, né dalla toponomastica (i civici lì affacciati si riferiscono a varie vie di contorno) né evidentemente dalle istituzioni, che hanno del tutto delegato la sua trasformazione a una entità economico-commerciale, nello specifico la Direzione Mercati Generali. Che dichiara serenamente: «Stiamo pensando se sia più conveniente per il nostro progetto di riorganizzazione riqualificare oppure demolire e ricostruire completamente l'edificio». Il quale edifico evidentemente per l'approccio del tutto contabile di questo tipo di decisori si riassume in preventivi, materiali, oneri, esattamente come accadrebbe al management privato di uno shopping mall che vuol fare il suo refurbishment per adeguarsi ai mutamenti del mercato. Ma qui appunto siamo su una piazza, anche se da una certa prospettiva assomiglia molto (troppo) al classico scatolone circondato da un parcheggio di pertinenza.

In pratica è come se, poniamo, la direzione della Metropolitana decidesse che la tale stazione – Lambrate, Loreto, Stazione Centrale o altra a scelta – così non va, e senza tenero conto della città che ci sta sopra facesse il suo progetto e aprisse i cantieri, magari cortesemente lasciando qualche corridoio per lasciare passare auto e pedoni per tutto il tempo necessario a trasformare quello spazio in tutt'altro. Naturalmente le cose non vanno affatto così in realtà, né nel metodo né nel merito, ma nella complessità urbana non dovrebbero neppure per scherzo mostrarsi così nella «narrazione». Gli stadi non sono solo posti dove si tirano calci a un pallone facendo pagare un biglietto per l'ingresso, e quando qualche società sportiva li considera solo quello proponendo progetti elaborati su lontani tavoli di architetti, giustamente tutti insorgono dicendo: possibile che non pensiate un minimo al ruolo urbano e sociale di quei posti, anche indipendentemente dalla composizione proprietaria e dagli equilibri tecnico-economici? Lo stesso deve per forza accadere con quella «piazza» che l'approccio economico contabile manageriale non considera tale (forse perché la toponomastica non dice così). Val la pena ricordare che l'inventore dei centri commerciali Victor Gruen fallì miseramente nel suo grandioso progetto di riorganizzare le città secondo il medesimo criterio organizzativo tecnico, perché non aveva tenuto debito conto della complessità urbana. Cerchiamo di non ripetere il disastro: se vedete della gente che frequenta un luogo, quello è città, spazio pubblico, non il parcheggio di un supermercato, anche se le vostre tabelline dicono quello. Guardate meglio.

La Città Conquistatrice – Shopping Mall 

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