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Giovedì, 25 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Sprawl medico sanitario

Da molti lustri uno studioso, Howard Frumkin, si occupa sistematicamente dei rapporti tra salute e forma urbana. Frumkin è un medico, e la cosa è piuttosto eccezionale visto l’argomento: la città e i suoi problemi socio-sanitari. Naturalmente è abbastanza ovvio che sia un medico ad occuparsi di problemi socio-sanitari, ma la cosa eccezionale è che qui lo faccia con un occhio di riguardo al territorio, individuato come «ambiente di vita» i cui effetti non episodicamente, ma quotidianamente e profondamente, incidono sulla qualità della salute. Anzi la determinano. Del resto gli obiettivi della medicina e quelli dell’urbanistica fino all’inizio del Novecento erano sovrapposti e indistinguibili, anche se l'asso pigliatutto di certo approccio formalistico-immobiliarista architettonico ce l'ha fatto dimenticare. Speriamo che i due aspetti tornino ad incrociarsi in modo non episodico, perché è difficile non essere totalmente d’accordo con il quadro generale che, statistica dopo statistica, delinea un progresso assai poco convincente. Esiste però anche una prospettiva di osservazione diversa del medesimo fenomeno, in cui si invertono e ribaltano i ruoli di alcuni soggetti e variabili: là dove la medicina si concentra sulle origini delle malattie che poi dovrà pensare in qualche modo a curare, le discipline urbane-spaziali potrebbero guardare alle possibili riorganizzazioni e distorsioni del modello di cura, attuale e potenziale.

Quando negli anni '90 la questione del suburbio-sprawl è ormai così degenerata da apparire addirittura una occasione e risorsa economico professionale (una malattia da curare, diciamo), nel primo capitolo di «Suburban Nation» i fondatori del movimento New Urbanism provano a dissezionare la questione in più maneggevoli aree di intervento progettuale, forse più comprensibili agli architetti spazialisti e ai decisori politici che poi saranno chiamati a trovare soluzioni specifiche. Lo sprawl, si argomenta, è un prodotto insediativo complesso e integrato ma si può distinguere tra nodi e reti, ovvero tra gli insediamenti segregati e le strade che li collegano. Specializzazione estrema e automobile costruiscono il meccanismo perfetto del mercato consumista coatto, quello dove tutto si frammenta e si privatizza, non ci sono più interessi collettivi ma solo interessi particolari, al massimo grandi o piccoli. E dal punto di vista del progetto ogni componente fa a sé: il baccello residenziale con le villette a loro volta isolate nella bolla familiare, quello commerciale per antonomasia dello shopping mall, e poi i grandi poli del lavoro (zona office park, zona industriale), dell'istruzione (il plesso scolastico detto multifunzionale), dell'amministrazione (da quella locale a quella penitenziaria), della salute ridotta a merce consumo proprio grazie al meccanismo specializzazione-concentrazione.

Qui casca, la logica grande ospedale, meglio ancora se grande ospedale privato, contro il welfare territoriale dei servizi decentrati di quartiere vicini al cittadino. È il medesimo rapporto che c'è fra il negozio-emporio di prossimità e il big-box monomarca a venti chilometri da tutto, o tra gli uffici minori decentrati del Comune e la mega-sede accentratrice sull'autostrada. Facilissimo iniziare a ragionare in condizioni di monopolio, di pura concorrenza tesa a prevalere anziché a cooperare, ad annientare l'avversario anziché farne un alleato nella soluzione del problema, che sia istruire i cittadini o garantirgli una esistenza sicura e sana. Il welfare socio-sanitario diffuso spontaneamente mira alla prevenzione, all'intervento leggero, mentre la concentrazione specializzata preferisce di gran lunga la cura medico-chirurgica, operando esattamente come un carcere secondo i criteri della istituzione totale: una corsia di persone in pigiama orizzontali è ben diversa da una via abitata da cittadini consapevoli e responsabili. E la contraddizione che emerge è quella innanzitutto dei bisogni reali a cui si doveva rispondere: così come il suburbio non è affatto città senza alcuni problemi della città, allo stesso modo l'ospedale non è salute senza i disagi della malattia. La cura anziché la prevenzione finisce per creare più problemi, più mali di quelli che doveva risolvere. Lo abbiamo intuito con le polemiche dei medici di base contro la logica dei mega-ospedali durante l'ultima fase critica della pandemia. Erano polemiche certo professionali e di parte, ma a partire da un problema molto più profondo. Su cui sarà il caso di tornare.

La Città Conquistatrice – Salute

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