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Venerdì, 29 Marzo 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Suburbia Burning

Qualche giorno fa i cronisti milanesi avranno avuto i loro bei problemi a capire dove stava l'area industriale in cui era scoppiato l'apparentemente enorme incendio che ricopriva mezza area metropolitana, e come arrivarci per qualche intervista volante a protagonisti e osservatori privilegiati. Per fortuna oggi almeno abbiamo tutte le app e i sistemi di localizzazione ad aiutarci, e la sensazione provata dai reporter sarà stata parecchio diversa da quella, per esempio, che accompagnava più di mezzo secolo fa i loro colleghi verso gli orizzonti ignoti delle basse dove era caduto per motivi misteriosi l'aeroplano del presidente ENI, Enrico Mattei. Arrivarci, nell'area industriale di San Giuliano Milanese (più vicina delle campagne di Bascapè dei primi anni '60 ma non tanto), è poi tutt'altra questione. Come ha raccontato benissimo con surreale spirito vagamente psicogeografico urbano lo pseudonimo Rainer Maria Malafantucci autore di Gozzo Unterlachen Poeta Maledetto, Delo Books 2015, il trucco starebbe tutto nell'inserirsi dentro la centrifuga roulette della Tangenziale, e aspettare che il destino faccia il suo corso prelevandoci e scagliandoci fuori dalla nostra dimensione verso quelle ignote che ne stanno fuori. E sperando che sia quella buona ovviamente.

Scherzi a parte, quel posto così vicino così lontano dalla città e dai suoi caratteri così abituali a giornalisti e «urban user» vari è invece il simbolo stesso dell'anticittà militante così come è teorizzata a modello di sviluppo da quasi un secolo. Perché già quando il buon Fritz Lang col suo Metropolis (1927) stigmatizzava le masse operaie lavoratrici oppresse dentro la macchina ingranaggio capitalista, in realtà l'industria vera e propria in gran parte se ne stava migrando altrove da mezzo secolo almeno, insediandosi in cittadelle proprie di varia qualità e forme tutte accomunate dal criterio della segregazione funzionale suburbana. Certo c'è segregazione e segregazione: a pochi chilometri da Milano alla confluenza dei corsi dell'Adda e del Brembo il villaggio industriale tessile modello Crespi sta a testimoniare una specie di approccio virtuoso: la grande fabbrica da un lato, e dall'altro a distanza pedonale e sopravvento rispetto ai fumi i villini di chi ci lavora completi di qualche servizio come la scuola i negozi gli spazi di incontro e addirittura il cimitero per riposare in pace dopo essersi rotti la schiena, all'ombra del mausoleo del padrone così come si era lavorato a quella delle ciminiere e del castello finto medievale. Ma non sempre il suburbio industriale è un suburbio modello con una segregazione modello.

La segregazione dell'area industriale di Sesto Ulteriano a San Giuliano Milanese, dove si sono inoltrati i giornalisti per documentare il grande incendio, è invece un caso da manuale di urbanistica tecnico-burocratica comunale delle zone produttive, quelle che sulle tavole del Piano Regolatore di solito occupano le fasce esterne con grandi campiture sulle tonalità del blu ma non sono specchi d'acqua. Lo schema è quello del cosiddetto Baccello Cul de Sac che caratterizza anche in forme più vagamente umane anche i suburbi segregati residenziali, o terziario-commerciali, e raccontato benissimo per esempio nel capitolo iniziale di Suburban Nation, la bibbia del New Urbanism di Duany, Plater-Zyberk e Speck, pubblicata negli anni '90 che voleva superare (poi fallendo miseramente per difetto di analisi sociale ed economica) appunto la logica del «lontano dagli occhi lontano dal cuore» che da sempre caratterizza la segregazione suburbana.

L'incendio è scoppiato in via Monferrato a San Giuliano Milanese – per i dettagli rinvio ai soliti strumenti come Google Maps accessibili a tutti – strada che non va da nessuna parte come tutte le altre, e serve solo a definire un isolato gigantesco, del tipo che nelle zone industriali classiche sarebbe occupato da un unico complesso produttivo, ma che l'organizzazione anche proprietaria di oggi spezzetta invece in tante unità e sotto-funzioni differenti, ciascuna con un proprio edificio, parcheggio, cortile, accesso, decine e decine di tasselli senza alcun mosaico né comunicazione: l'anticittà incarnata. L'insieme, se possiamo chiamarlo così, occupa un'area gigantesca (e praticamente identica ad altre che a centinaia si ripetono aggrappate alle medesime infrastrutture) a ridosso di un intreccio autostradale che la alimenta di flussi umani e di materiali portati dai veicoli, mentre per il lavoratore/abitante lo spazio e le possibilità sono vicine allo zero salvo naturalmente la sua postazione produttiva. Efficiente? Forse si, ma non si capisce esattamente a quale scopo preciso, salvo rispondere a una cultura tecnica e a relazioni economiche che paiono cristallizzate e burocratizzate più che dotate di qualche senso. Forse ragionare proprio sul senso assente o deviato di queste collezioni di capannoni, più o meno «sicuri», potrebbe servire a capire meglio cosa vogliamo farne della maggiore integrazione funzionale e desegregazione di cui si parla vagamente discettando di Città dei Quindici Minuti. Che per essere tale deve anche comprendere posti di lavoro, produttivi inclusi, e che sinora invece avevano come destinazione automatica quella industriale del manuale dell'ingegnere ottocentesco.

La Città Conquistatrice - Decentramento industriale

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