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Venerdì, 29 Marzo 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Suicidi a pedali?

Ogni volta che uso le piste ciclabili «di sicurezza» realizzate in corrispondenza dei più pericolosi e intricati svincoli stradali su più livelli, non posso fare a meno di notare una cosa, che riguarda chi proprio le ignora, quelle misure di sicurezza tanto utili e direi urgenti. La cosa che mi colpisce di più non è tanto che qualcuno ignori quei percorsi, ma che appaia difficile anche classificare in modo unitario i tipi umano-ciclistici che compongono quella specifica fauna urbana. Basta sostare qualche istante nel punto più alto e «panoramico» (in certi casi è il più basso, quando il geometra progettista è stato particolarmente sadico), per vederseli scorrere accanto a pochi metri di distanza in buona parte del catalogo multicolore, gli impavidi.

Pochi giorni fa, in una posizione del genere sul ponte detto di Piazza Maggi, che scavalcando il Naviglio Pavese taglia uno svincolo di tipo autostradale su tre livelli, forse il più micidiale di Milano, mi ero fermato per l'ennesima casuale foto dello skyline urbano verso il centro sul cielo limpido primaverile. Giusto il tempo di appoggiare la bicicletta alla ringhiera, e con la coda dell'occhio mi sono visto sfrecciare velocissima una chiazza arancio fluo, appena oltre il guard-rail che separa il percorso ciclabile dalle corsie veloci per le auto. Velocissimo certamente, il ciclista sportivo col suo mezzo high techsuperaccessoriato, ma mentre si allontanava verso i meandri più micidiali tenebrosi e avviticchiati dello svincolo, non si poteva fare a meno di notare quanto sproporzionata fosse, quella sua velocità, rispetto ai ritmi del tutto autostradali delle auto che lo superavano da ogni parte.

Ma come sanno tutti i frequentatori delle nostre strade urbane ed extraurbane, i ciclisti sportivi con pochissime ed episodiche eccezioni i percorsi dedicati in genere li evitano: troppe interferenze con utenti ingombranti e fastidiosi, dai due ciclisti affiancati che chiacchierano, alle mamme con passeggino, a quello che parla al telefono e sbanda. Meglio allora misurarsi direttamente con gli altri utenti della strada, rivendicando il proprio diritto: in qualche modo, la macchia fluorescente che si infilava dentro il micidiale frullino dello svincolo aveva un suo senso. Pochi istanti dopo però è arrivato qualcosa che di senso ne aveva molto meno, nell'ordine: un ragazzo africano con portapacchi stracarico di cose, un signore sessanta-settantenne con bicicletta pieghevole a ruote piccole, una piuttosto stravagante donna con mezzo antidiluviano e cestino a balcone fiorito. Tutti, pur guardinghi, a strisciare il gomito contro il poco accogliente guard rail, e che si accingevano ancora ad affrontare la parte peggiore dello svincolo, coi diritti di precedenza, le svolte, i salti di livello, le corsie. E il sottoscritto, fuori da quella buriana di polvere e scarichi e pericolo, a chiedersi perché mai facessero quella patente cretinata.

Il percorso protetto per giunta corre parallelo a quello pericoloso, porta nei medesimi posti, è auto-segnalato piuttosto bene, ed è pure molto gradevole, senza salite o discese ripide, e per giunta scorre per la maggior parte tra giardini ben tenuti. Con qualche adattamento di contesto, si può dire la medesima cosa per tanti altri attraversamenti del genere, sotto le ferrovie, le superstrade, sopra i canali. Eppure, puntualmente, eccoli là, gli utenti suicidi, e specie quelli più a rischio del tipo ciclista utilitario, con le borse, il mezzo caracollante, velocità molto ridotta e diversa da quella dei veicoli: perché? Certo, così come esiste la spiegazione dello sportivo diffidente dei percorsi dedicati, c'è anche quella di chi non ha capito bene quanto sia comodo e sicuro imboccarli, magari ne ignora l'esistenza essendo un passante occasionale. Ma credo esista qualcosa di unificante, tra tutte queste diverse tipologie umane e ciclistiche a propria insaputa così propense al rischio: non colgono l'occasione, i segnali informali, l'idea che per andare da qui a lì ci sono alternative, ci devono essere, se non le vedi subito guarda meglio e le troverai. In altre parole, ci risiamo: la progettazione ingegneristica delle infrastrutture, mettendo al primo e quasi unico posto il flusso di veicoli a motore, e aggiungendo poi per una sorta di dovere burocratico quello della mobilità dolce, comunica un messaggio in sé chiarissimo. Quale, in fondo lo sappiamo tutti.

Su La Città Conquistatrice le Piste Ciclabili in tutti i loro diabolici travestimenti.

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