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Venerdì, 19 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Torniamo alla terra per darle il colpo di grazia

Nel 1939 un funzionario di lungo corso ricercatore del Servizio forestale USA pubblica un articolo sulla rivista interna di questa branca storica del ministero dell'Agricoltura, dedicato a ciò che oggi chiameremmo sicuramente «equilibrio tra biodiversità e ricchezza economica». L'autore si chiama Aldo Leopold e la tesi dell'articolo si riassume benissimo dalla filosofia condensata nell'incipit: «Conservation is a state of harmony between men and land» in italiano La conservazione è uno stato di armonia fra gli uomini e la terra. Una filosofia che ispira ben oltre quell'articolo, dedicato specificamente agli agricoltori e allo sfruttamento del suolo non solo, l'intera opera di questo fondatore dell'ecologismo moderno, ma una intera corrente di pensiero conservazionista pur per nulla conservatore in senso politico o sociale o ambientale. Quando le risorse di suolo acqua flora fauna vengono impoverite (ben oltre le possibilità di fisiologica riproduzione naturale) fino a cancellarle localmente dal bilancio territoriale, e al puro scopo di incrementare la produzione alimentare commerciale in senso meccanico agro-industriale, non si sta affatto creando ricchezza ma semplicemente depredando l'ecosistema, con l'idea di lasciare al proprio destino un cadavere e passare a speculare su altro. La voce di Leopold oltre che prestigiosa e legittimata dal ruolo scientifico-politico non sta neppure sostenendo una tesi estrema o minoritaria o particolarmente divergente rispetto al mainstream.

Se dalla ricerca scientifica multidisciplinare del ministero dell'Agricoltura passiamo al mondo parallelo della letteratura che costruisce l'immaginario collettivo, nel medesimo 1939 vediamo la pubblicazione di «The Grapes of Wrath», in italiano Furore, di John Steinbeck, il cui contenuto sia per il successo del film (col giovane Henry Fonda nel ruolo del protagonista Tom Joad) sia per la fama stessa del libro. Il cui tema centrale è certamente la Depressione economica più o meno manovrata dalle cicliche crisi del capitalismo, ma resta difficile non notarne le premesse ambientali e sociali nei passaggi introduttivi dedicati ai campi devastati dalla siccità. Campi già semi-desertificati dall'organizzazione produttiva agro-industriale che li rende estremamente vulnerabili alla Dust Bowl. Una vulnerabilità da esaurimento di risorse magnificamente riassunta dall'immagine del trattore fermo sotto una tettoia perché non vale la pena comprare carburante per lavorare vegetali morti di sete sul terreno riarso. Siamo di nuovo all'impoverimento della biodiversità come impoverimento della vita che starebbe alla base dell'ecologia-economia. A cui l'idea della fabbrica fordista meccanicamente dispersa su tutto il territorio, agricoltura compresa, risulta indifferente nella propria filosofia di espansione indefinita. Di cui la migrazione delle vecchie carrette verso l'utopia della frontiera californiana rappresenterà lo sbocco.

Un ultimo spunto, stavolta di nuovo dal campo scientifico ma di nuovo focalizzato sull'oggetto territorio-risorsa, è la conferenza tenuta due anni prima, nel 1937, ad Atlanta dal responsabile per la pianificazione regionale della Tennessee Valley Authority, Earle Sumner Draper, dove si denuncia lo «sprawl» chiamandolo per la prima volta così. È in realtà il medesimo fenomeno delle vecchie carrette «jalopy» di automobile a disposizione dei contadini, che visto nella migrazione di vasta scala di Furore in qualche modo risolve il problema della crisi, secondo Draper ne pone invece le premesse. Perché a suo modo inizia a impoverire la biodiversità consumando suolo per strade, incroci, accessi, edificazione molto più sparsa di quanto richiederebbe la presenza dei lavoratori sulla terra, e premessa di «sviluppo del territorio» come piace a certo immobiliarismo speculativo.

Ma lo sprawl che sta denunciando Draper non è certo il fenomeno urbano-sociale che dagli anni '50 di «The Exploding Metropolis» verrà via via stigmatizzato da tanti: nel 1937 la questione è strettamente agricola, economica, organizzativa, e riguarda il consumo di suolo da spezzettamento e sostanziale impropria urbanizzazione, che si traduce di nuovo in impoverimento della biodiversità ben oltre quello già indotto dalle tecniche di coltura. Insomma se sommiamo le considerazioni di Leopold, di Steinbeck e di Draper, pare che la coscienza di una «crisi» più profonda di quella finanziaria scoccata nel '29 sia ben presente al mondo. Si tratterà per i partigiani integralisti dell'altro modello di sviluppo, quello vincente, di zittire i dissidenti e continuare con la narrazione dei «prezzi inevitabili da pagare al progresso». Il loro naturalmente, di progresso.

La Città Conquistatrice – Biodiversità 

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