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Venerdì, 19 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Trasformazioni urbane e gentrification

A volte capita che le trasformazioni della città avvengano in modi molto diversi dal solito, annunciate da indizi a prima vista incomprensibili. Come quando tempo fa mentre stavo pedalando appena fuori dal cancelletto di casa fui strattonato da un ragazzo. Passato il primo istante di sorpresa, appurato che non si trattava di furto con destrezza in variante pista ciclabile, o di un maldestro tentativo di vendita al volo, arraffavo il pezzo di carta che mi sventolava davanti e lo ficcavo distratto nel cestino. C'era qualcosa di inusuale sia in quell'improvvisato volantinatore che nel volantone, ma me ne sono accorto solo più tardi, sfogliandolo con un minimo di attenzione. Era una specie di manifesto ripiegato in forma di giornale, di carta molto diversa da quella delle solite pubblicità arredobagno casa giardino offerta speciale, e tutto scritto in inglese. Assomigliava abbastanza a una rivista di architettura, e inneggiava a tale Ventura District. Fine della fuggevole sensazione, per il momento.

La mattina successiva quel Ventura District mi ripiombava direttamente in casa via wireless, sfogliando le pagine locali di un quotidiano online. Anzi, meglio, mi ripiombava direttamente sulla testa quando scoprivo, leggendo il pezzo, di starci dentro a quel district postmoderno, visto che la via da cui prende il nome è una delle due o tre che imbocco di norma appena uscito dal cancello con la bici. Intendiamoci, la sorpresa è abbastanza relativa, perché la trasformazione della zona è cosa nota, abbastanza decantata da anni, ed è gira e rigira il motivo per cui sono venuto ad abitarci. Quartiere ex industriale e popolare, sta vedendo sia le fabbriche tradizionali, sia gli isolati misti residenziali e artigianali, trasformarsi in qualcosa di molto diverso dal vecchio ex villaggio circondato dai capannoni. Spiccano quei nuovi fabbricati in stile loft a mescolare abitazioni e attività, ma anche vecchie carrozzerie che diventano laboratori di produzioni oscure, o ex trattorie rilucidate nell'offerta e nei prezzi.

Alla luce di quanto accaduto altrove, e ampiamente studiato secondo infinite varianti locali da mezzo secolo, il problema che si pone in questi casi non è tanto del possibile conflitto fra la società tradizionale e i nuovi equilibri che avanzano, ma invece un potenziale appiattirsi dei conflitti per assenza di diversità. E in più, il rischio che l'effetto di sostituzione e incremento dei valori immobiliari finisca – alimentato esclusivamente dalla speculazione - per estendersi da una piccola manciata di isolati, a un intero settore urbano.

Nella città industriale tradizionale, quella del tipo visto anche in tanti quadri di pittori famosi fra '800 e prima metà del '900, c'è la zona delle residenze operaie, un po' discosta quella dei colletti bianchi, e per conto proprio i grandi recinti degli impianti produttivi. Uno schema che naturalmente è assai più leggibile nella company town in senso proprio (la nostra Crespi d'Adda è un esempio da manuale, con tanto di segregazione cimiteriale per classi e fasce di età/reddito), mentre si fa più sfumato e complesso man mano crescono le dimensioni. Una transizione abbastanza virtuosa verso il modello postindustriale, sarebbe quella in cui la cosiddetta creative class non va ad occupare al 100% la nicchia lasciata da una delle tre componenti sociali originali, oppure una parziale gentrification, dove la nuova residenza si mescola al lavoro e al commercio e servizi, ma non si insedia un blocco monoclasse, una specie di gated community virtuale, sulla spinta degli immobiliaristi.

Sinora, a impedire che il laccio della definitiva sostituzione sociale/funzionale si stringesse al collo di tanti quartieri, ha funzionato l'attrito storico dei residenti anziani, delle attività produttive residue, del commercio e servizi ancora rivolti a questa stratificata utenza. Ma si comprende come lasciando al cosiddetto libero mercato, prevalentemente immobiliare, la gestione di questo passaggio, il classico meccanismo di espulsione, almeno per gli isolati più complessi e articolati, finirebbe per annullare qualunque differenza, salvo quelle superficialmente edilizie: si rispettano le indicazioni del piano regolatore, di tutela o mantenimento delle cubature o tipologie, si valorizzano anche gli spazi pubblici e i tessuti nel loro insieme, ma si seppellisce qualunque complessità e vitalità diversa da quelle previste nel metabolismo particolare dei ceti creativi. Ponendo in pratica la prima pietra per una specie di crisi post-post-industriale.

Sta alla capacità della pubblica amministrazione, di sostenere e incoraggiare tutte le attività e iniziative che portano nuova vitalità, contenendo gli appetiti della valorizzazione immobiliare, che operando in una logica da zoning novecentesco soffocherebbe tutto. Sono in fondo tantissimi gli elettori che rinuncerebbero molto volentieri a veder aumentare di diverse volte il valore del proprio appartamento, in cambio di una qualità dell'abitare infinitamente migliore.

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