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Venerdì, 19 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Piazzisti delle trasformazioni urbane

Qualche settimana fa nell'eterna semiseria – ma anche no – ricerca dell'urbanista col lanternino storico, citavo qui la vistosa assenza di informazioni online su quello che mi pareva un trascuratissimo protagonista di primo piano della rifondazione novecentesca. Dai e ridai però alla fine qualcosa sono riuscito a scovare col metodo da architetto, guardando solo le figure. Ovvero una quasi illeggibile scheda biografica datata 1912 e caricata in formato immagine (illeggibile al motore di ricerca) dal Chicago Daily Journal nel suo elenco di «Notable Men of Illinois & Their State». La riporto qui di seguito perché mi pare di grande interesse.

Walter Dwight Moody nasce a Detroit il 16 gennaio 1874. Figlio del Reverendo Edward Bursell, inglese nato a Londra, predicatore della Chiesa Battista, e Anna Maria Guillot, di origine francese, entrambi immigrati con le famiglie negli Stati Uniti nel 1855 e stabilitisi a Detroit. Walter dopo aver terminato le scuole inizia a lavorare a 14 anni nel commercio; diciottenne è commesso viaggiatore per la casa di moda Macauley & Co. di Detroit, dal 1891 al 1898; poi vicepresidente, associato e responsabile per l'Europa della Mitchell-Moody-Garton Co. fallita nel 1904. Responsabile per le vendite sempre nel settore abbigliamento per Gage Bros & Co. Chicago dal 1904 al 1907. Qui entra in contatto con la Chicago Commercial Association per cui presiede diverse commissioni tematiche, fino ad essere nominato direttore generale nel dicembre 1907, carica da cui si dimette per passare a quella di direttore per la Chicago Plan Commission il giorno del suo trentasettesimo compleanno nel gennaio 1911. È membro del Press Club ha pubblicato «Men Who Sell Things», giunto alla sua ottava edizione nel 1910, uffici all'appartamento 314, Hotel La Salle.

La biografia di un uomo di successo americano insomma, che sale i gradini della scala sociale grazie alle sua capacità e iniziative, ma resta senza risposta la domanda iniziale su quanto ci azzecchi poi con il ruolo centrale nell'urbanistica novecentesca. Che invece c'è eccome proprio con questi presupposti: Moody userà le sue sperimentate capacità di venditore e teorico della vendita, nella posizione di direttore tecnico della Commissione di Piano, per ribaltare totalmente l'idea di trasformazione urbana contemporanea, da progetto definito che cerca solo il canale per attuarsi, a prodotto-processo che instaura col cittadino-cliente un rapporto interattivo complesso, cambiando prospettive, mutando nelle forme, accettando anche fisiologicamente il conflitto dialettico domanda-offerta come in una specie di paradiso ideale del libero mercato. L'architetto Daniel H. Burnham di solito considerato dalla cultura corrente «l'Autore del Piano di Chicago 1909» era famoso per ripetere sino alla noia un suo tic fisso di metodo di lavoro: «delegare, delegare, delegare». Probabilmente consapevole di essere stato il primo, di quei soggetti delegati, delegati a svolgere una parte del compito, quella grafico-tecnica che condensava in progetti e vedute l'idea generale. Idea generale che però era soprattutto di processo e obiettivi, non di oggetti da costruire. Quelli li avrebbe magari decisi il tempo.

A gestire davvero quel lungo intricato processo ci doveva pensare il mercato: domanda, offerta, mode, gusti, inclinazioni e andamento generale. La specialità del direttore vendite ex commesso viaggiatore Walter Dwight Moody. Che prese la «filosofia urbana imprenditoriale» del Commercial Club da cui era scaturita l'idea, prese anche la corposa mole di progetti passati attraverso il filtro dell'architetto Burnham, incluse le tavole impressioniste del pittore Jules Guerin che ancora oggi noi chiamiamo «il Piano di Chicago». E mise tutto nel frullino delle sua capacità comunicative e promozionali. Dimostrando ampiamente che un piano si distingue formalmente da un progetto proprio perché i progetti li incorpora, li digerisce, coinvolge forze varie per trasformarli in tangibile realtà urbana, edifici, infrastrutture, sensibilità dei cittadini, aspirazioni soddisfatte e nuovi conflitti per migliorare ancora. La vera differenza, con gli architetti-urbanisti che poco dopo la sua morte prematura nel 1920 si sarebbero imposti da venditori pubblicitari di sé stessi, è che gli artisti discendenti dalle avanguardie non avevano alcuna intenzione di confrontarsi col libero mercato democratico, schivandolo abilmente alla ricerca di poteri in grado di sovrapporre perfettamente il progetto al piano. Lo si sarebbe capito molto bene confrontando uno qualunque dei tanti documenti prodotti negli anni da Walter Moody, con quei cataloghi illustrati di «maniera di pensare l'urbanistica», da metà anni '20 in poi.

Riferimenti: Walter Dwight Moody, Coinvolgimento di media scuole e cittadini nell’urbanistica 

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