Le trivelle in mare, e la guida a destra a terra
Fra le cose più fastidiose del prossimo referendum sulle trivellazioni petrolifere al largo della costa italiana, non c'è solo il relativo silenzio dei media, per non disturbare manovratori. Di fastidioso spicca anche il tono vintage, se non assolutamente vetusto, delle argomentazioni a favore di una più rigida regolamentazione di queste impattanti attività: si parla, specie sui social media, prevalentemente di paesaggio deturpato, pesci asfaltati e non più buoni da mettere sulla griglia, e naturalmente della necessità di tornare al sano stile di vita degli antenati, tutti col cappello, gli zoccoli senza calze e la zappa in spalla. Poche e sparse, le argomentazioni progressiste sul tramonto dell'era petrolifera di fronte al cambiamento climatico indotto da sfruttamento di fonti fossili, o addirittura l'impulso che potrebbe arrivare, alla fin fine, da una maggiore consapevolezza diffusa, a tantissime innovazioni tecnologiche di cui si parla da anni, ma che non sono riuscite a fare il balzo dai laboratori, alla vita quotidiana, al mercato e allo sviluppo socioeconomico. Proprio quello sviluppo così sventolato dai vecchi conservatori industrialisti che invitano a boicottare il referendum, perché a loro parere «blocca il paese».
Se il processo più o meno innescato dai risultati del referendum si distende comunque su tempi medio-lunghi, pare che un altro sia lì lì per manifestare il suoi effetti tra poco anche nella vecchia conservatrice Europa: è la driverless car di cui ci arrivano da anni lontane eco dalla Silicon Valley e dintorni. Un articolo del britannico Daily Mail fissa addirittura al 2020 la data di messa in circolazione sulle strade dei primi veicoli, citando come fonte nientepopodimeno che il Ministro dell'Economia: «A partire dall'anno prossimo inizieranno nel prove su autostrade de principali strade del paese. In altri termini potrebbero essere già diffusi veicoli senza pilota alla fine del decennio, ha dichiarato oggi George Osborne». E a parte tutte le questioni puramente politiche-tattiche della Brexit, la questione vale con ogni probabilità su entrambe le sponde della Manica, magari con qualche correttivo riguardo ai mercati locali e all'attivismo normativo e organizzativo del settore pubblico e delle amministrazioni locali. Lo scenario dal punto di vista dell'innovazione non potrebbe essere più dirompente, ed è stato giustamente definito «demotorizzazione», ma qui urge definire il termine.
Quando gli stessi manager delle grandi case automobilistiche parlano di demotorizzazione, non stanno certo pensando a un futuro di disoccupazione per loro, con l'umanità che si sposta solo a piedi o in bicicletta o in barca a vela. Sognano una mega-riconversione delle proprie imprese in senso post-industriale, dove il termine motor-car non sta più a significare la filiera grandi stabilimenti, concessionarie, famiglie, stazioni di servizio e catene di manutenzione, tutti legati solo da vincoli economici e monetari. La società demotorizzata i motori li usa eccome, magari anche più potenti di prima, e magari pagando anche più di prima le stesse case automobilistiche, ma per ottenere qualcosa d'altro, diverso dall'acquisto di un veicolo. Questo qualcosa è una specie di servizio integrato, discendente dagli attuali sistemi di car-sharing locali ma infinitamente più esteso, gestito direttamente dalle case o da loro emanazioni e discendenti. Qui, come facilmente immaginabile, l'auto senza pilota ha il ruolo fondamentale di poter sostituire in un colpo solo il mezzo privato, il taxi, lo sharing attuale e in un certa misura anche il trasporto di superficie urbano collettivo. Ovunque si trovi l'utente, il veicolo lo può prelevare e portare dove preferisce, applicando magari tariffe differenziate a seconda di chi è il gestore, o chi è il passeggero. L'auto può essere usata da bambini, disabili, adulti. Facile immaginarsi scenari, a piacere. Ma non è ancora tutto.
La riconversione verso il nuovo sistema, si porta con sé anche un abbastanza ovvio paradigma energetico, che potrebbe aiutare nella lotta contro il cambiamento climatico: l'alimentazione elettrica. Succederebbe infatti che, dovendo comunque sostituire in modo massiccio e rapido (l'arco come detto è di pochi anni, non decenni) vecchi veicoli con nuovi, si aprirebbero infinite possibilità per i punti di ricarica, non solo urbani centrali, ma magari addirittura privati o domestici, rilanciando quelle idee sinora solo vagheggiate di integrazione fra produzione locale e consumo di elettricità da fonti rinnovabili, solare, eolico eccetera, e facendo impennare mercati e ritmi di innovazione settoriale. E, last but not least, il veicolo senza pilota risolverebbe una volta per tutte il terrore dell'automobilista continentale di fronte all'incubo della guida a destra, delle trappole in rotatoria, rilanciando il turismo territoriale in Gran Bretagna. Non dimentichiamocene, di tutto questo, quando andremo a votare al referendum sulle trivelle del 17 aprile. Per sorridere, ma non troppo.
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