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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Un'erbaccia non ci salverà?

Lo ricordavo già tanti anni fa all'inizio di un articolo sull'ambiente, il caso della signora che avventurandosi sportivamente in bicicletta a un chilometro scarso da casa si stupiva di quel «prato tutto pieno d'acqua» senza riconoscere la risaia irrigata dentro le cui infinite distese abitava inconsapevole perlomeno da parecchio tempo. È il nostro modo sbrigativamente cittadino e superficiale, magari addirittura da ambientalisti urbani, di considerare al tempo stesso il verde qualcosa di molto importante, dotato di grande valore, ma senza capirne più di tanto il senso nonché il valore relativo: abbiamo letto che è green, salva la salute, addirittura il pianeta, e sarà pure così no? Come e perché poi lo salvi è oggetto di interpretazioni fantasiose, dalle fissazioni soggettive concrete (l'alberello sotto la finestra del soggiorno dove Fufi marca il territorio dalla nascita e per questo sacro) o del tutto virtuali come lancio e adesioni a campagne e petizioni qualsivoglia che abbiano la parola chiave nascosta da qualche parte, anche se si tratta in realtà di manovre elettorali o commerciali per un furgoncino a legna. E c'è poi la versione più tragicomicamente ridicola, derivante da queste premesse, del verde messianico deus ex machina sceso dal cielo a salvare l'umanità in quanto parte integrante dell'ambiente. Con la tecnica delle erbacce.

Una volta il rampicante che saliva i contrafforti della fortezza faceva soprattutto un effetto un po' Casa Usher: rami e radici avviticchiati dentro pietre e mattoni davano al tempo stesso l'idea di imponenza, antichità, e implicita fragilità. Insomma come le rovine di una civiltà dimenticata nella giungla di certi film, anche i simboli del potere erano lì lì per crollare sotto il peso della natura su cui avevano trionfato. Quell'effetto sinistro, esteso addolcito e ampliato, finisce oggi per fare allegria scemotta: i semi che hanno attecchito sul bastione stradale o ferroviario devastando di steli e radici il sistema di drenaggio e allagando i sottopassaggi a ogni temporale, diventano oggetto di culto anziché problema tecnico di manutenzione, per questi verdi der core de mamma. Comitati in difesa della gramigna da cordolo, siti interamente dedicati a quanto sono buone e nutrienti le foglie di questa o quella pianta esotica importata chissà come e diventata invasiva, che spacca l'asfalto dei parcheggi. È la natura che si vendica dei nostri soprusi, predicano compunti i neoidioti. E ribadirei senza alcun astio: neoidioti, sul serio. Perché un conto sono le turbe della pubertà infelice, la piccata reazione agli eccessi di ingegnerismo meccanico altrettanto ottuso che esclude l'elemento naturale dalla cosiddetta «macchina per abitare» metropolitana. Altro quell'odio da adolescenti per le pareti e i pavimenti in generale, salvo quelli della propria cameretta ovviamente.

Se vogliamo salvare e salvarci da qualcosa, usando e facendoci usare dalla natura, molto meglio sarebbe considerarla almeno sempre per ciò che è, senza pregiudizi. Se qualcuno ha progettato un marciapiede perché chi ci cammina possa farlo senza inzaccherarsi e senza rischiare di finire sotto qualche veicolo di passaggio, ha avuto e tutt'ora ha i suoi ottimi motivi. Se quel marciapiede risulta brullo o arroventato inutilmente dal sole, possiamo anche pensare, chiedere, pretendere, che qualcuno ci ponga rimedio, mescolando arbusti e piante all'asfalto e ai cordoli, meglio ancora se dentro un chiaro piano organizzativo di manutenzione, irrigazione, controlli. Ma senza scordarci mai che quella «natura» urbana non ha nulla da spartire con gli ecosistemi complessi delle foreste o delle montagne, assomiglia molto di più alle patate che teniamo in fondo al frigo e iniziano a far germogli, sollecitandoci a mangiarle o disfarcene. E che quegli alberi e arbusti se iniziano lasciati a sé stessi a sfasciare il marciapiede e la strada non stanno «vendicando» niente e nessuno, non sono né anticapitalisti né anticementificazione o che altro. Semplicemente delle specie di anomali parassiti a far danni senza alcun costrutto. A Milano c'è un noto proverbio che dice «Ofelè, fa el to mestè». Usiamolo anche in senso ampio quando parliamo di cose complesse, da adulti che provano a ragionare.

La Città Conquistatrice – Tutti i Colori del Verde

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