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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

L'Unità di Vicinato su Due Ruote

I nostri assessori si fidano decisamente troppo di certe forme di rappresentanza che in fondo non rappresentano nessuno se non sé stesse. Si badi bene: è ovvio quanto più maneggevole possa essere far riferimento a istanze organizzate, in grado di esprimere bisogni e aspettative in modo strutturato e non casuale, spesso dotate di strumenti di comunicazione efficaci ed efficienti, insomma in qualche modo davvero riassuntive di uno specifico tema. Ma non si deve sottovalutare anche la natura di lobby di queste forme di associazione, la fatale tendenza a vedere sé stesse come interpreti autorizzate di qualcosa da cui ovviamente nascono, ma che a volte addirittura ignorano nelle altre magari maggioritarie componenti. È il caso, tipico, e sempre attuale, della indebita sovrapposizione spesso assai alla rinfusa tra mobilità non motorizzata, ciclismo, associazioni di categoria e militanza specializzata. Nascono da qui, dai curiosi e peculiari mix tra politica e interessi, anche quelle distorsioni che vedono per esempio tutte le politiche ciclabili risolversi nel chilometraggio di piste dedicate progettate e realizzate con criteri stradali, o di quei piuttosto surreali per quanto spettacolari, smisurati percorsi trans-regionali o trans-nazionali, che pur evocando immagini spettacolari e care alla stampa patinata e non, nulla hanno a che vedere in realtà col muoversi, a meno di non confondere la vita quotidiana con un paio di esperienze particolari sull'arco di una intera esistenza.

Eppure, resterebbe comunque assai vivo il ruolo di tutte queste forme di improvvisata rappresentanza di interessi e aspirazioni complesse legate alla bicicletta, quando trovasse una sorta di contenitore e interfaccia in grado di mediarne e indirizzarne in rapporto meno casuale e ondivago con società, territorio, ambiente, innovazione. Torna in mente qui il classico concetto della neighborhood unit, così come sviluppatosi nella fase matura della città industriale moderna a cavallo tra XIX e XX secolo, proprio a fungere da snodo ideale ad assetto variabile tra l'individuo/nucleo familiare essenziale e la società metropolitana in senso lato. E solo in una seconda fase, per un equivoco di interpretazione interdisciplinare (o forse per comodità analoghe a quelle in cui inciampano i nostri assessori citati in partenza) scivolato in quella interpretazione tutta spazio-fisica da architetti, che alla fine ne ha fatto saltare i criteri. Nasceva infatti, quel bacino ideale urbano, come unità sociale e identitaria, che solo in seguito si modellava anche come rete di vie, spazi aperti, composizioni di edifici, accessori di sicurezza e abitabilità. Tutto si basava sul concetto di «scuola» intesa in senso lato, ovvero istruzione per i più giovani, luogo di ritrovo dei genitori e di altri soggetti, fuoco fisico per attività collaterali qualificanti. La domanda è se oggi non potremmo fare qualcosa del genere usando invece della parola scuola la parola bicicletta, e facendole così assumere analogo senso allargato sociale, ambientale, urbano, di relazione. Qui emerge il termine Bike Hub, letteralmente Nodo della Bici.

Citando letteralmente uno studio americano per una zona a bassi redditi totalmente priva di tradizione ciclistica radicata: «Un Community Bike Hub è uno spazio accogliente dove imparare la cultura della bicicletta, incontrare altre persone, intessere relazioni. Sempre più diffusi, questi luoghi, tipici del luoghi centrali urbani, offrono servizi di auto-riparazione guidata da volontari esperti, effettuata direttamente dagli utenti. In alcuni casi si aggiungono altri programmi e attività, fra cui noleggio, formazione, assistenza all'acquisto, escursioni guidate, tutto ciò che possa promuovere l'uso della bicicletta là dove non è affatto diffuso». Dovrebbe, almeno nella prospettiva delineata parallela a quella dell'unità di quartiere attorno alla comunità scolastica, saltare abbastanza all'occhio il ruolo diverso di questa entità rispetto per esempio alle «ciclo-officine» di gruppi ed associazioni, che pure ne condividono in parte gli scopi. E qualche organica presenza pubblica, integrata a quelle individuali e associative fisiologiche, neppure di certo guasterebbe a mantenerne vivo il carattere aperto, analogo ad altri presidi di carattere sociale: non un «luogo» fisico, ma una vera e propria funzione complessa in sé, facilmente replicabile. E che così come la scuola della neighborhood unit non pretendeva certo di mettere in riga sui banchi in classe tutta la società locale, allo stesso modo non abbia come fine di farci pedalare militarmente ordinati sui percorsi decisi da altri.

Building Bike Culture Beyond Downtown: A Guide to Suburban Community Bike Hubs, Centre for Active Transportation (Canada)
 

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