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Giovedì, 28 Marzo 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

L'urbanista sconfitto, e chi sarà mai?

Qualche giorno fa, nel corso di una discussione sui soliti temi delle trasformazioni urbane e sociali, è saltato all'improvviso fuori un tizio che si autodefiniva «urbanista sconfitto». Alla mia scherzosa ma non troppo, insinuazione secondo cui la sua si poteva invece probabilmente chiamare «sconfitta elettorale», ha ribadito convinto che no, era tutt'altra cosa, niente in comune con una sconfitta elettorale. Il fatto è che questi personaggi e culture imperversano, letteralmente, nella storia delle trasformazioni urbane italiane e non. Basta pensare al caso forse più grande e famoso, del progetto di riforma generale urbanistica promosso dall'allora astro nascente della Democrazia Cristiana, e Ministro dei Lavori Pubblici, Fiorentino Sullo. Il quale in sostanza (riassumo brevissimamente come si addice all'economia di queste note, ed eventualmente mi scuso per la schematicità) letteralmente inaugura lo strabismo della cosiddetta urbanistica sconfitta, semplicemente caricando di aspettative esagerate il proprio strumento di riforma, basato su un presupposto a bene vedere piuttosto surreale. Che fosse cioè del tutto ribaltabile, da un momento all'altro e con atto di imperio, la socioeconomia di un paese legato alla «terra», alla proprietà, alla rendita, sulla sola pur importante traccia dell'efficiente e moderno assetto dei centri abitati e del territorio.

Idea da cui, si capì piuttosto presto, rifuggiva la stragrande maggioranza dei cittadini, attraverso i propri rappresentanti politici, con la piccola eccezione degli ispiratori del progetto, gli urbanisti appunto, i quali avendo al centro assoluto del proprio personale universo quei temi, ritenevano lecito, sacrosanto, ribaltare tutto il resto. C'è qualcosa, in fondo, di antiurbanistico in quell'idea che esistano forme ideali auspicabili a prescindere, senza nulla chiedere ai vari interessati (che ci dovranno in qualche modo e misura investire la vita), concepite sin nei dettagli, e solo da realizzare. Qualcosa di analogo e complementare, all'altra idea degli architetti novecenteschi, di poter letteralmente plasmare la forma della società in modo sottilmente autoritario, costruendole attorno contenitori, canali, spazi liberi e barriere, così da indirizzare flussi e aspirazioni in una direzione anziché in un'altra. E non è un caso se questa idea trova il massimo splendore nell'era dei totalitarismi politici, anche se i suoi prodotti urbani si diluiscono poi nei decenni successivi del secolo, fin quasi ad oggi. In sostanza il famoso «urbanista sconfitto» è chi ritiene di non aver potuto agire secondo queste modalità: aveva la sua bella idea studiata a tavolino, magari sin nei minimi dettagli, ma non piaceva ai destinatari, che hanno deciso di farsene una da sé, lievemente o totalmente diversa.

Parrebbe ovvio: propongo (faccio esempi banali per restare terra terra, e mi scuso di nuovo) di ficcare dentro case altissime gente che invece preferisce tenere i piedi vicini al terreno; di farli abitare davanti al posto di lavoro mentre vorrebbero invece non sentirlo neppure nominare fuori dagli orari canonici; oppure di farli passeggiare in un parco mentre il loro sogno è il brivido dell'ottovolante … e così via. Se gli interessati, direttamente o attraverso i vari canali che li rappresentano, economici o politici che siano, mi dicono no grazie, come dovrò reagire? Pare evidente che chi ha progettato e tanto investito in un progetto possa sentirsi deluso, amareggiato, magari addirittura «tradito» dai destinatari delle sue fatiche. Ma per esempio anche chiedersi dove sta l'errore: nella comunicazione, nel non aver studiato a sufficienza la domanda, nel non aver tenuto nel debito conto la potenza delle offerte concorrenti? Di solito chi si sente «urbanista sconfitto» a queste cose pensa invece pochissimo, ritiene che tutto fosse magnifico, perfetto o quasi, non c'era di meglio sul mercato, ma sono intervenute forze maligne a stroncare sul nasce la sua «utopia collettiva». E qui casca l'asino, perché se andiamo a guardare bene non era affatto collettiva (o non si presentava con sufficiente enfasi su quell'aspetto, chissà) e lo dimostrano i fatti. Riflettere su quegli aspetti, invece di odiare il «nemico», magari aiuterebbe a uscire dal vicolo cieco.

Sul sito La Città Conquistatrice la figura dell'Urbanista nelle sue varie sfaccettature e manifestazioni https://www.cittaconquistatrice.it/tag/urbanista/
 

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