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Venerdì, 29 Marzo 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Come si traduce "urbanista" in linguaggio globale?

Probabilmente se la ricordano in molti, la figura da americano delle barzellette che ha rischiato di fare l'ex scrittore di culto cyberpunk, Bruce Sterling, dichiarando (a Napoli e nel quadro di una denuncia per rapina) che essendo lui un texano, di norma gira con in tasca un bel pistolone che neanche l'Ispettore Harry Callaghan. La stessa stampa che in un primo tempo tanto aveva contribuito a far girare questa immagine come minimo distorta, nei giorni successivi si è sentita in dovere di ricontestualizzare un pochino la faccenda, aggiungendo dettagli di contesto, insomma allontanando quello che è pur sempre un intellettuale a suo modo progressista da quello stereotipo di vaccaro vagamente coloniale e sbrigativo. Ma poi pare si ricaschi in un analogo errore di interpretazione quando lo stesso Sterling firma un di per sé interessante articolo per The Atlantic, dedicato alle tematiche sempre attuali della Smart City, che viene tradotto da noi su Internazionale.

Gli equivoci in cui si casca sono diversi: l'autore sta parlando da un punto di vista piuttosto interno al mondo delle nuove tecnologie, lo fa nel quadro di alcune contingenze tipicamente Usa, e utilizza terminologie quasi gergali, come quella del nimby per esempio, il cui significato culturale e politico sembra mutare di giorno in giorno a seconda di chi lo usa. Ma nulla di tutto questo sfiora (forse non era neppure loro dovere) i redattori della nostra rivista, dedita alla sua rassegna di articoli alla stampa internazionale. E il lettore italiano che non seguisse almeno un pochino quelle questioni specifiche, si ritrova a rischio di capire tutt'altro, interpretando troppo in chiave nazionale alcune affermazioni. Specie quando inciampa in questa "tesi condivisibile" di Sterling: gli urbanisti alleati a qualche imprenditore tecnologico si occupano di problemi virtuali mentre quelli reali restano irrisolti.

E infatti i commenti italiani a quell'articolo, meglio ancora i commenti degli architetti italiani e dintorni, sono suonati come una specie di liberazione dopo gli anni bui in cui se non magnificavi la Smart City venivi accusato di essere un troglodita nemico del progresso, o peggio. Adesso, pensavano, è nientepopodimeno che il profeta del cyberpunk, ad accusare di inconsistenza quel termine e chi lo cavalca. Peccato che però i poveri architetti fossero vittima di un piccolo, quanto micidiale, vizio di traduzione: l'italiano "urbanisti" dove Bruce Sterling aveva scritto planners. I quali planners, anche se dalle nostre parti la parola si traduce così, comprendono invece una congerie di personaggi che mai e poi mai i nostri paladini del tavolo da progettazione si sognerebbero: assessori, casalinghe di comitati, studiosi di varie discipline e orientamenti che semplicemente si occupano, in modo continuativo organico e sistematico, dei temi urbani. E che, ci dice implicitamente l'autore dell'articolo su The Atlantic, quell'idea di città accorta, intelligente, coordinata anche grazie all'uso di tecnologie avanzate, non dovrebbero affatto mollarla, ma al contrario allargarla, anche ai problemi sociali dai quali pare oggi così lontana. In altre parole: non meno Smart City, ma molta di più, a comprendere casa, servizi sociali e sanitari, ingiustizia ambientale, eguaglianza, pari opportunità … Altro che tornare ai bei tempi del disegno urbano.

Su La Città Conquistatrice moltissimi articoli dedicati alla figura (misteriosa) dell'urbanista

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