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Giovedì, 28 Marzo 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

L'Urbanista da Comizio Elettorale

Fissata la data delle elezioni per i rinnovi di Sindaci e Consigli delle amministrazioni locali, più o meno definite liste squadre candidati, si scatena perfettamente fisiologica sana e sintomatica la competizione a chi la spara più immaginifica e visibile. Tra i tre aggettivi con cui ho qualificato la gara preferisco di gran lunga da parte mia l'ultimo: sintomatico. Perché consente di decontestualizzare dai condizionamenti inevitabili locali, di parte, di personalità e consenso di riferimento. Fino ad arrivare a piccole conclusioni di tipo generale che però possono fissare una specie di regola. Il camerata Giuseppe Bottai grande sponsor della materia e Ministro dell'Educazione, inaugurando il primo congresso INU del 1937 perentorio proclamava: «l’urbanistica è politica (politica e urbanistica derivano da polis e urbs, dalla città, tendono tutte due al governo della città). Bisogna portare l’urbanistica sul piano della politica». Argomentazione stretta logica e condivisibile, così conseguente che a moltissimi se non a tutti pare di trovarci la possibilità pratica di ribaltare la questione sul personale: se l'urbanistica è politica, quale migliore urbanista del politico stesso? Ed è quello che da sempre, ma con particolare accentuazione dalla crisi di ruolo dei partiti tradizionali in poi, ci ritroviamo ingombrante tra i piedi, con particolare rilevanza nelle campagne elettorali. Sino a farci riflettere sul tema di fondo: ma sarà proprio vero che il politico è il migliore urbanista possibile?

Leggo di una polemica tra due candidati (peraltro riconducibili in linea di massima a uno schieramento analogo almeno dal punto di vista politico) sul piano regolatore di una importante città, e contemporaneamente in un'altra città una candidata molto visibile e in cerca di conferma a una posizione istituzionale propone un grande (a dir poco) progetto personale di trasformazione urbanistica, trasportistica, commerciale. Certamente poi un consigliere, un assessore, un sindaco, un membro di commissione, si occuperanno in senso assai pratico focalizzato operativo di grandi localizzazioni urbane nel piano regolatore, opere pubbliche, pedonalizzazioni, politiche ambientali e di trasporto riducibili a progetti ben individuati. Ma lo faranno inquadrati dentro un sistema di competenze, responsabilità, saperi, assai equilibrato, come prevedono del resto l'istituzione e la sua organizzazione amministrativa-politica, non certo come se ogni cosa si riassumesse nella propria persona come paiono prometterci strizzando l'occhio dall'intervista sul giornale o dal post su Facebook. Curioso poi che la stessa cosa accada assai più raramente in altre materie, altrettanto o addirittura meno complicate dell'urbanistica, o che coinvolgono meno soggetti diversi.

Il politico non si azzarda quasi mai in campagna elettorale a dirci come allestirà o allestirebbe una mostra, o si comporterebbe nella gestione di servizi sociali a domicilio, o nel progetto delle fogne.

E il motivo è fin troppo facile da capire: il candidato sa benissimo di muoversi sulle sabbie mobili, pronte a inghiottirlo nel ridicolo appena uscito dal percorso obbligato dell'ovvio e condiviso rituale e generico. Ovvero di tutto ciò che non è specificamente «politico». Ma anche l'urbanistica di cui parlava il camerata ministro Giuseppe Bottai era «politica» in quel senso, e riguardava al 100% l'idea di città, di convivenza, di rapporto con la tradizione e la modernità, il rapporto tra spazi e società dalla prospettiva del governo e delle interazioni. Per la localizzazione di una grande infrastruttura o servizio fondamentale e con effetti di larghissima scala, o la chiusura al traffico estetico-elettorale di quella che da un paio di migliaia di anni sarebbe la spina dorsale viabilistica della città, ci sono altre sedi del comizio e delle sue iperboli da dialettica Peppone-Don Camillo. L'idea di città, quando scende su temi sensibili e non necessariamente condivisi, la può esprimere in quel senso al massimo un «tecnico prestato alla politica», di solito l'architetto che ha deciso di attuare i propri progetti scegliendosi come committente la società locale e presentandosi alle elezioni. Ma - questa come sempre si conclude - è un'altra storia. 

Riferimenti: per una volta un testo storico, Ideologie politiche e scelte urbanistiche (1967)

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