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Giovedì, 25 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Urbanistica e trasporti: separati in casa

A Milano si vara – in vigore a partire dal prossimo anno - la «Zona a Traffico Limitato Stadio», ovvero andare agli eventi sportivi e non solo usando i mezzi pubblici. Oggi mediamente la zona attorno all'impianto di San Siro ogni volta si intasa di 50.000 veicoli, mentre le piazzole di sosta a standard urbanistico calcolate per la zona sportiva sono poco più di un decimo. Usando il classico e sperimentato metodo delle telecamere di controllo piazzate ai margini dell'area controllata la Zona a Traffico Limitato, si metterà in pratica quanto previsto dal Piano Urbano per la Mobilità Sostenibile, ovvero ingressi ai soli veicoli registrati e autorizzati, per cui sono previsti standard di sosta. Forse non si coglie pienamente, però, il ruolo «supplente» svolto dal piano di settore trasportistico, rispetto ai vuoti concettuali di quello urbanistico, che si limitava a dire: qui ci sono certe funzioni che attirano tot persone, e questi sono gli spazi per la sosta relativi previsti. Stop. Il resto come ci sentiamo spesso dire da qualche burocrate «non è mia competenza».

Le auto in sosta, dieci volte tante le previsioni, problema urbano ignorato dall'urbanistica che non lo ritiene proprio, tornano col piano della mobilità, che a sua volta un po' scarica sulla smart city delle telecamere controllo e sanzioni, auspicando magari che poi ancora sia la stessa urbanistica assente prima, a intervenire con barriere fisiche o diverse norme, ad esempio a cancellare (forse avrebbe dovuto farlo prima) la possibilità di quella sosta impropria, di migliaia e migliaia di veicoli letteralmente sui piedi degli abitanti, dei negozianti, delle attività della zona e più in generale della città. È storica, questa divisione in casa dei due aspetti inestricabilmente intrecciati di progettazione dei flussi e degli spazi: viene prima uno o l'altro? Facciamo dei piani sì, ma separati, sono specialismi diversi. E gli assessori? Rigorosamente due, magari anzi tre o quattro per accontentare correnti e fazioni. Ciascuno con un proprio esercito tecnico organizzato in uffici incomunicanti, e che orgogliosamente produce come da legge (tutto è regolamentato per legge, ovviamente) un proprio «piano generale». Che generale non può essere per definizione, dato che dichiara in partenza i propri limiti.

Tutto dovrebbe trovare ricomposizione nell'iper-uranio della politica, arte del possibile, ma sta invece davanti agli occhi di tutti che quella è una velleità e una pretesa senza capo né coda: lo dimostrano decenni di sciocchezze, assurdità, doppioni e spaventosi vuoti di potere, di cui la storia dei dieci volte tanti veicoli che non dovrebbero esistere ma invece ti parcheggiano sui piedi, è uno dei tanti, tantissimi esempi. E siccome il vuoto in natura notoriamente non esiste, quello spazio finisce per colmarsi con la libera iniziativa spontanea, a sua volta divisa per «competenze», le piccole e le grandi o enormi. Microscopica iniziativa è proprio quella dell'automobilista che si improvvisa urbanista, facendo a modo suo quella variante di piano regolatore che trasforma qualche metro quadrato di aiuola o marciapiede o arretramento di edificio, in spazio per parcheggiare l'auto durante l'evento sportivo o spettacolare dello stadio. Grande iniziativa è quella di chi vede nella crepa sempre aperta tra piano urbanistico burocratico e piano altrettanto burocratico dei trasporti, un varco per irrompere e dilagare. È quella degli operatori edilizi internazionali, che fiutando odore di «evaporazione delle auto e degli standard a parcheggio» (con car sharing, biciclette, mezzi pubblici vari), propongono di costruirci sopra. Fanno insieme la variante urbanistico-trasportistica da soli, insomma. E l'idea, non troppo geniale, parrebbe: perché non anticiparli, e farla noi, collettività, unificando finalmente i due piani-settori?

Come andare ad abitare in un parcheggio
 

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