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Giovedì, 25 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Vertical Farm e movimenti reazionari di massa

Non ho più l'età per immaginarmi anche un solo istante leader di qualcosa, neppure di una assemblea condominiale sul chiasso dei ragazzini in cortile. Per questo mi tengo lontano da eventuali proposte di «intervento politico sul territorio», travestite da conferenza seminario o simili. Quelle dove pubblico e relatori (locali o chiamati da fuori a questo scopo) si aspettano sostanzialmente un sostegno alle proprie idee preconfezionate o poco più, magari approfondimenti a carattere manualistico di qualche progetto già chiaro e definito nelle linee di massima, o semplicemente come è il caso più frequente una sorta di incitamento alla lotta con qualche motivazione dialettica in più. Per questo ho accettato volentieri di partecipare a un evento, organizzato da un centro sociale in un territorio dove ci sono comunque dinamiche del genere, ma organizzato chiarendo che si parlava d'altro, pur in stretto rapporto con le tematiche locali di punta.

C'era in effetti un elemento di azzardo, ma il rischio al massimo era di farsi fischiare, o di vedere già dopo la prima decina di minuti la sala svuotarsi a metà (cose già sperimentate ahimè), e così ci ho provato: un gruppo di comunicazioni altamente «teoriche», per quanto pensate in termini molto divulgativi, con una tesi di fondo che in realtà non si discosta moltissimo dal famoso incitamento alla lotta di cui sopra: con le trasformazioni anche radicali a cui la società locale oppone resistenza, ci si può confrontare rilanciando l'innovazione, anziché guardare sempre a un passato mitico e radioso, di solito inesistente. L'argomento specifico, per tornare terra terra, era la cosiddetta Vertical Farm, ma spiegata (non sono affatto un esperto di tecnologie agricole high-tech ovviamente) in relazione al territorio, alla sua storia, alle aspirazioni locali e non. Perché quando ci si incaponisce esclusivamente sulle rivendicazioni conservazioniste, anche nella loro versione radicale, di sinistra e giovanile, il rischio è sempre quello di produrre quanto Zygmunt Bauman chiamava Retrotopia, ovvero il ritorno a un passato mitico, ovvero l'esatto contrario di quello a cui in genere aspirano i giovani e i progressisti.

E cosa fa, questa Vertical Farm, di tanto alternativo progressista sul territorio? Non pare chissà quale idea, a parte per gli architetti o i nerd agrotecnologici, ammucchiare un piano sopra l'altro di colture idroponiche, tubi di irrigazione, laboratori di sperimentazione di produzioni integrate. Il fatto è che, studiando bene l'idea, la sua genesi anche antica (risale alle origini dell'agricoltura, migliaia di anni fa), se ne coglie la potenzialità, per i nostri sistemi urbani e agro-industriali dilaganti, di darsi una calmata, smettere di dilagare in quel modo, e «scaricare di responsabilità produttiva alimentare i territori». Chiedere una pausa, anche lunga, insomma, ma senza rinunciare a crescere, tranne che in impatti ambientali. Concetto troppo complicato, teorico, noioso per un pubblico decisamente diverso dal solito convegno specialistico o peggio ancora accademico? Parrebbe proprio di no, se una sala di medie dimensioni se ne è stata un paio d'ore in quasi religioso silenzio ad ascoltare, e poi a interagire con domande, proposte, osservazioni. Perché ormai dovrebbe essere abbastanza chiaro a molti, se non a tutti, quanto la grande epopea del "NO Questo NO Quello" abbia di fatto prodotto un movimento popolare schiettamente reazionario, seppur non consapevolmente tale. Provare a guardare le cose da una differente prospettiva, se non altro aiuta a distinguersi, e poi si vedrà.

Su La Città Conquistatrice due articoli riassumono una parte dei temi sviluppati

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