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Giovedì, 28 Marzo 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Com'è bella, la città

Paiono passate poche ore da quando Adriano Celentano e Giorgio Gaber si scambiavano opinioni cantate sul rapporto tra città e campagna nell'Italia di metà Novecento. Paiono passate solo poche ore perché in fondo nella discussione su questi argomenti sono ancora vive le medesime opinioni: qualcuno (pochi, a dire il vero) in città ci sta benissimo e non saprebbe pensare di meglio, molti altri detestano cordialmente il traffico, l'inquinamento, i pericoli, i disservizi. E verrebbe davvero da chiedersi: ma che ci stanno a fare, allora, in città? E la risposta, ci stanno a lavorare aspettando il momento per scapparsene via, non è una risposta seria. Noi vorremmo provare a cercarne un'altra, di risposta, e nel frattempo esprimere anche una proposta.

Ce lo raccontano da tempo tutti i giornali e i programmi televisivi, che il terzo millennio è quello dell'urbanizzazione. L'era in cui fin nelle più remote savane del pianeta c'è sempre qualcuno che sta facendo fagotto per incamminarsi verso le mille luci di qualche periferia, baraccopoli, quartiere urbano. L'era in cui non passa giorno senza qualche scoperta degli studiosi a proposito dei vantaggi o delle curiosità, di questa strana macchina evoluta nei secoli, che un tempo era fatta solo di pietre, e oggi accumula non solo materiali, ma anche flussi di informazione, aspettative, sogni, energie. 

Lungo tutto l'arco del '900, e forse anche prima nelle fasi più mature dell'industrializzazione, l'immaginario urbano pareva terra di conquista esclusiva per l'ingegnere e l'architetto. Erano loro a dettar legge nei nuovi panorami fatti di ponti, ferrovie, strade, grandi e imponenti palazzi, poi via via nel corso dell'ultimo secolo quadri più complessi e unitari disegnati dall'urbanistica moderna.

Un passo indietro a queste descrizioni e percezioni stavano tutti gli altri, dai narratori, agli artisti, ai cittadini comuni. Loro non erano considerati competenti, finché qualcuno non iniziò a far sentire la propria voce forte e chiara: guardate che la città è anche nostra, anzi soprattutto nostra. E la raccontiamo col nostro linguaggio, dalla nostra prospettiva, che è tanto vera e giusta quanto quella degli specialisti. 

Ecco, così siamo arrivati più o meno al punto in cui si scontravano a colpi di strofe e giri di accordi i nostri Celentano e Gaber, ovviamente cogliendo un pezzo qui un pezzo là della questione, e lasciando ancora tanto ma tanto campo agli specialisti, che non sono tali per niente. Hanno dalla loro la capacità di sviluppare un'idea di città compiuta, ben diversa e più solida da quella vaga e intuitiva della nostra vicina di casa o del tizio con cui scambiamo due parole sull'autobus. Un vantaggio che si deve soprattutto all'informazione e al linguaggio. Ma anche un vantaggio che si può abbastanza facilmente colmare, come insegnano da tempo i teorici della partecipazione democratica.

Ecco: con Millennio Urbano vorremmo provare a sviluppare questo nuovo linguaggio, una conoscenza diffusa, multiforme, trasversale, non specialistica. Uno spazio nel quali tutti possano riconoscere la narrazione della loro esperienza, i tratti salienti del contesto in cui vivono, la percezione della condizione urbana da condividere con la maggioranza dell’umanità.

Cercheremo di raccontare la forma della città e le sue conseguenze sulla vita dei cittadini, il modo in cui essi si spostano al suo interno, ne usano gli spazi, li trasformano, li riutilizzano, li abbandonano. Proveremo a descrivere i differenti modi di abitare l’ambiente urbano, secondo il genere, l’origine, l’età, il reddito, ma anche ciò che succede in ciò che città non è, anche con essa ha un rapporto sempre più stretto. Faremo tutto ciò anche guardando all’influenza esercitata dalle trasformazioni urbane sulle differenti forme di espressione artistica, come la musica, il cinema, la letteratura.

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