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Sabato, 20 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

L'automobilismo come tossicodipendenza?

Qualche giorno fa mi è capitato di leggere uno dei milioni di post dove qualcuno si sfogava dei fatti propri senza ritegno. L'interesse a superare le prime due sillabe, e addirittura andare fino in fondo ai due o tre paragrafi del tutto, era la descrizione di un piccolo bozzetto di vita quotidiana, al tempo stesso efficace e molto, molto soggettiva: la signora (di una giovane signora si tratta) descriveva la sua surreale esperienza nell'attraversare un pezzo di città con l'autobus, magnificando comparativamente il medesimo percorso coperto usando la sua amata autovettura. Banale fino alla noia? 

Invece no, niente affatto. Perché la signora inconsapevolmente stava solo raccontando di un suo goffissimo equivoco, analogo a chi provasse a sbronzarsi con l'aranciata bevendone cinque litri per volta, o a eccitarsi sessualmente guardando da una angolazione particolare il proprio alluce sinistro. Insomma pretendeva, in breve, che l'autobus facesse l'automobile, pianificandosi scientificamente tutta la frustrazione successiva, senza accorgersi che dentro quel tunnel ci si stava ficcando da sola. 

Certo, qui nessuno sta sostenendo che i servizi di autobus, o quel servizio di autobus in particolare, siano perfetti, magnifici, quanto di meglio ci può capitare per spostarci a piacimento da un posto all'altro. Ma soltanto, che la signora non riusciva ad uscire dai suoi condizionamenti tossici da automobilista: quando decidere, come spendere, come e perché organizzare la trasferta, il luogo e il momento da cui iniziarla, magari addirittura il perché andarci, proprio in quel posto partendo diciamo da casa propria. E via dicendo.

Mi capita abbastanza spesso di scoprirmi attento a cose del genere, visto che fra qualche settimana celebrerò (anche se non mi pare ci sia nulla di particolare da celebrare, ma un anniversario da calendario è una cosa oggettiva) un anno da quando ho provato a chiedermi: ma io ce l'ho bisogno, l'automobile? E provare poi a rispondermi, molto empiricamente e giorno per giorno, no, adesso no, magari più tardi, vediamo. 

Andare avanti così, indefinitamente, giorni, settimane, mesi, uscendo di casa e guardando l'auto parcheggiata nel controviale sotto gli alberi, che si copriva di una spruzzata di nevischio, poi di qualche alone di scarichi mescolato alla linfa appiccicaticcia dei primi germogli, poi ancora prendere temporali e solleone. Mentre ogni tanto passavo giusto a levare i volantini pubblicitari accumulati sotto i tergicristalli, perché la città teniamola un po' più pulita. E nel frattempo, giorno dopo giorno, mi allontanavo da quello che oggi in prospettiva mi appare un comportamento, un atteggiamento, analogo a quello di tante dipendenze, per esempio quella comunissima dalle sigarette: la disintossicazione fisica è facilissima, in fondo non è altro che un prolungamento della pausa dalla prima alla seconda della giornata, il difficile è superare i condizionamenti. Attorno a cui gira tutta la tua vita, se ci pensi un momento. 

Come scegli la casa, il rapporto casa lavoro, servizi, tempo libero, come fai la spesa, cosa compri, come ti vesti, con chi ti relazioni e a volte addirittura di cosa parli e come ne parli. Un'orbita autostazionaria coatta.

Certo ci sono modi diversi di reagire, a seconda del carattere e del contesto: qualcuno si dice basta con questa vita, butta il volante alle ortiche, adotta una radicale filosofia nuova eccetera, qualcun altro opta per la gradualità e l'adattamento elastico; o magari tutto succede per caso, un'occasione, un'esperienza, un modo per verificare che sì, si esiste e si vive anche senza quella tara da una tonnellata e qualche migliaio di euro l'anno. 

Anche negli ambienti più auto-orientati possibili, anche in posti che un geometra sadico a sua insaputa voleva inaccessibili all'essere umano in carne ed ossa, a meno che non si trovassero rigorosamente avvolti da una croccante crosta di lamiera. Sono le miriadi di lottizzazioni industriali sparse dappertutto, quelle dove tra precompressi grigi, curiose insegne al neon colorate, palme di plastica fosforescenti e rotatorie piantate a erbacce, si svolge la giornata lavorativa di tante, tante, tante persone. Che al 99% lì ci vanno per forza in automobile, che altro? Salvo che poi spunta il nuovo assunto in nero sedicenne, o semplicemente non ancora arrivato a risparmiare a sufficienza per procurarsi la sua protesi meccanica a combustione interna, o ancora quello che l'ha lasciata dal meccanico in un'altra lottizzazione per il tagliando, ma ci sono dei ritardi. 

E arriva la scoperta: sai che ieri sono andato a lavorare in bicicletta? Cioè, sono uscito di casa un po' prima, perché sono sei chilometri, insomma, ma in un momento si arriva lo stesso. E se piove? Beh, lì magari la macchina poi la tiro fuori, che serve sempre. Però ho anche provato a andare al supermercato, bisogna farci l'abitudine, e magari scegliere quell'altro più raggiungibile, un po' più caro ma col risparmio di benzina si va subito in pari … E i giorni passano, l'auto resta lì come una scema, e ci si fanno delle domande sulla vita e simili.

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