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Venerdì, 29 Marzo 2024
Un caffè con...

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A cura di Alice Grecchi

Tenacia

Tenacia, quella che secondo la Treccani è la “costanza nei propositi e nell’azione” ha le sembianze di Silvia Calcavecchia. È una mattina dall’aria frizzante di metà dicembre e sono in anticipo al mio appuntamento. Inganno l’attesa riempiendomi la testa di domande ma senza osare abbozzare risposte. Da qualche mese seguo Silvia su Instagram e leggo il suo blog, e ne sono affascinata. Ma un dubbio in fondo rimane: Silvia è realmente così o è stata capace di crearsi un personaggio a uso dei social?

Non arriva sola all’appuntamento, ad accompagnarla c’è Benny. L’accompagna, ma è più corretto dire, cammina al suo fianco da 8 anni, da quando si sono conosciuti a un concerto tramite amici comuni.

“All’inizio era tutto un litigio, anche per i suoi tentativi di allontanarmi” racconta Benny. “Mi ha aiutato a capire che non sono solo disabilità. Avevo bisogno di qualcuno che me lo dicesse e me lo facesse soprattutto capire” gli fa eco Silvia.

Silvia è nata 29 anni fa e sin dalla nascita convive con le conseguenze di una paralisi cerebrale infantile a cui, in tempi più recenti, si è aggiunta la diagnosi di maculopatia, una malattia degenerativa che se fino a ora le ha ridotto la vista all’1% di fatto rappresenta la minaccia reale di diventare cieca.

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Eppure c’è molto altro da raccontare. Perché di eppure, nella vita di Silvia, ce ne sono tanti.

“Se sono qui lo devo anche a mia madre che è una donna molto forte, ha sempre creduto in me e insieme abbiamo vinto tante battaglie. Io provengo da un piccolo paesino della Sicilia ed era difficile tanti anni fa parlare di disabilità, molti le dicevano di tenermi a casa perché ero motivo di vergogna ma lei anzi, mi portava a tutti gli sport immaginabili e mi ha fatto fare tutte le esperienze che potevo fare. Mia mamma mi ha sempre supportato e ha sempre creduto in me. Abbiamo vinto tante battaglie insieme”. E mentre lo dice il suo sguardo si fa velato di emozione.

Non sono mancati certamente i periodi neri, soprattutto nel percorso scolastico delle scuole secondarie. “Io volevo fare il liceo classico e me lo hanno fra virgolette impedito. Ma volevo andare all’università. Quindi ho cambiato scuola perché all’epoca non ero forte come oggi e alla fine, io che non avevo mai disegnato nulla, sono finita al liceo artistico. All’università il percorso è stato un po’ combattuto. All’inizio volevo entrare in medicina ma non ci sono riuscita e quindi ho scelto chimica anche se poi, non sentendomi nel posto giusto, ho rinunciato. L’anno successivo ho provato diversi test, tutti in materie umanistiche. Li ho superati tutti e alla fine ho scelto lettere. Scegliere lettere per me è stata una rivincita, un modo per dire e dirmi ecco, io potevo fare il classico”.

Da lì è iniziata una svolta. Andare a vivere da sola, in uno studentato, assaporare la libertà, il confronto con altre persone con disabilità sono tutti elementi che l’hanno aiutata a confrontarsi, a capire che non era l’unica a sentirsi diversa. Infine, l’incontro con Benny, che le ha mostrato che si può essere amati per come si è. “Lei mi ha insegnato il coraggio – racconta Benny. Molti si abbattono e son frustrati per piccole cose, come non esser riusciti a fare qualcosa nei tempi e modi immaginati mentre Silvia, con tutte le sue difficoltà, dal doversi accettare al doversi scontrare ogni giorno con chi la guarda dall’alto in basso già così vince, mostrando la forza di sorridere e di incoraggiare gli altri. Da lei prendo tanto. La difficoltà nella coppia è formativa perché ti mette di fronte a un bivio. O proseguiamo insieme o ci dividiamo e lì si cresce. Noi ora ci sentiamo più innamorati e legati rispetto ai primi anni, quando non avevamo questa consapevolezza”.

Da tre anni Silvia e Benny vivono a Parma dove lei si è recentemente laureata nella specialistica in giornalismo e cultura editoriale. “La voglia di laurearmi è stato il motivo che mi ha spronato a dire ce la posso fare”.

Silvia sui social mostra una piccola parte della sua vita. Tutto è iniziato quasi per gioco e la paura di mostrarsi per quella che è ha presto lasciato spazio alla sua grande energia. “Ho capito che alla gente arrivava qualcosa di me e questa cosa mi ha stupito ma mi ha anche motivato. Mi hanno scritto anche persone con disabilità che mi dicono che grazie a me stanno imparando a non vergognarsi e a vivere con più serenità. Io mi limito a raccontare come vivo e affronto la mia vita. Abbiamo una vita normale ma comunque un po’ diversa. Abbiamo dinamiche che necessitano organizzazione, ad esempio io non posso cucinare o versarmi un bicchiere di acqua”. E Benny lo sa, quindi prima di uscire per andare a lavorare le prepara il pranzo o la colazione. Ma anche allacciarsi le scarpe può essere complesso e impiegare un tempo lungo, a volte anche quindici minuti. Uscire da soli? Mai, sia per le difficoltà a camminare di Silvia ma soprattutto per la maculopatia. “Questa incognita della vista fa più paura alle persone che mi stanno accanto. Io la vivo così, ho apprezzato di più quello che mi sta attorno”.

Chi è impegnato a godersi il presente non ha tempo di perdersi in un futuro ideale ma lo costruisce giorno dopo giorno, senza smettere di sognare in grande. “Ho tanti progetti in testa, sicuramente spero nel mio piccolo di fare qualcosa nel sociale sensibilizzando i ragazzi, ad esempio andando a parlare nelle scuole. Poi mi piacerebbe scrivere, anche un libro per bambini perché no! Le idee non mancano quindi vedremo che cosa accadrà. Prendo e prendiamo quello che verrà. Voglio godere dei piccoli momenti come fossero gli ultimi e dovessi fissarli nella mia mente”.

Arriviamo alla fine della chiacchierata. Qual è la domanda a cui vorresti rispondere ma che ancora non ti è stata fatta?

“Se credo che realmente le cose possano cambiare, come ad esempio la percezione della disabilità e della diversità più in generale. Io penso di sì. Il cambiamento parte da noi se cominciamo a vedere le cose in maniera diversa e cambiare prospettiva, abbattere le barriere architettoniche e i pregiudizi. Far conoscere altre realtà è la chiave di volta per il cambiamento. Mi piace mostrare che oltre alla disabilità c’è una persona. La diversità non è per forza negativa”.

Il caffè di Silvia: un cappuccino con una bella schiuma di soia da gustare con una cannuccia rigorosamente in acciaio, per non inquinare l’ambiente.
 

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