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Sabato, 20 Aprile 2024
AAA... acquisti

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A cura di Massimiliano Dona

Da Android al video game Fortsite: cosa ci spiegano le App sulla protezione del consumatore

La scorsa settimana la Commissione Europea ha adottato nei confronti di Google la più grande condanna della storia: l’accusa è abuso di posizione dominante ad opera di Android. Non sono convinto che il provvedimento vada nella direzione di una effettiva tutela dei consumatori e del mercato. A ben vedere si tratta di una piattaforma open source che negli anni ha consentito agli sviluppatori di dar vita ad un settore (la cosiddetta App economy) che ha cambiato in meglio l’ecosistema digitale e d’altro canto ha permesso ai consumatori di accedere all’acquisto di una grande varietà di smartphone a prezzi competitivi. Qui davvero la “tutela” rischia il corto circuito…

Il provvedimento riapre in qualche modo il dibattito sulla natura della protezione che riteniamo auspicabile al giorno d’oggi per il consumatore. Proprio di questo si è discusso in un recente dibattito promosso dall’Istituto per la competitività (ICOM) che ci ha proposto di mettere a confronto “tutela” ed “empowerment”: insomma, ci siamo chiesti, conta più l’apparato di tutela (e quindi le norme di protezione stabilite ad esempio all’interno del Codice del consumo) oppure l’empowerment, cioè il rafforzamento della consapevolezza del consumatore e del suo senso critico?

Non ho dubbi: nella partita tra tutela ed empowerment vince quest’ultimo se è vero che, (come ho sostenuto durante il mio intervento), la tutela “guarda al passato” mentre l’empowerment “guarda al futuro”.

Già il termine “tutela” mi sembra superato e persino “noioso”! Annoiata del resto è la reazione del consumatore al quale rivolgiamo questo anelito di protezione: nessuno di noi ha tempo e voglia di dedicare anche piccoli spazi della sua giornata a “fare il consumatore”, perché questo non può essere un mestiere! Tutti diventiamo “consumatori” nel momento in cui il rapporto con l’impresa delude le nostre aspettative, intendiamo scioglierci da un contratto insoddisfacente, vogliamo contestare una bolletta che ci sembra esosa, chiediamo di recedere da un acquisto che non ha mantenuto le promesse.

Ma se tutto va per il verso giusto, non ci sentiamo consumatori, ma “persone” che -tutto sommato- rivendicano anche il diritto al proprio benessere e alla quotidiana comodità. Del resto questo è uno dei tratti salienti dell’attuale App economy.

Ciò non significa che a volte si facciano scelte irrazionali o si sia ingannati: accade con quelle inutili applicazioni che fanno incetta dei nostri dati o peggio dei nostri denari, con tecniche subdole e scorrette. 

Ma per queste situazioni, il vecchio strumentario di tutela non ha nessuna efficacia! È di questi giorni la notizia dello straordinario successo di un gioco arrivato ormai anche sui nostri smartphone: negli ultimi mesi Fortsite ha fatto incassare ai suoi produttori oltre 300 mila dollari al mese. E se pensiamo che si tratta di un’App gratuita, potremmo dissertare sulla consapevolezza di quel consumatore che fa acquisti in App peraltro, in questo caso, non per potenziare il proprio personaggio e avanzare nel gioco, ma solo per abbellirlo con decorazioni cosmetiche!

Ecco perché ritengo che l’apparato di tutela guarda al passato: scenari come questo dimostrano come l’ecosistema nel quale viviamo possa generare situazioni potenzialmente lesive dei nostri diritti (e delle nostre libertà) che non possiamo fronteggiare con la “tutela”. Pensiamo ancora alla protezione dei dati personali: non ho molta fiducia negli avvisi che ci richiedono un consenso ad ogni passo. Che scelta abbiamo? Cliccare per procedere. E così fan tutti...

Insomma che tutela possiamo immaginare per tutti noi consumatori se non un serio investimento di empowerment?

Con ciò non intendo dire che non si debba pensare ad una “reazione” quando il rapporto di consumo sfocia in un disservizio, ma questa deve tradursi in meccanismi il più possibile semplici e automatici (quanto ci manca in Italia una “comoda” class-action!) 

Tornando al caso Google-Android, mi sento di dire quindi che resta fondamentale capire  dove possiamo collocare la linea che separa situazioni di illecita dominanza a livello concorrenziale (e per ciò lesiva dei diritti del consumatore) da mercati ipercompetitivi all’interno dei quali si sfidano magari due soli attori (come nel settore delle App), ma in modo onesto verso i consumatori e non collusivo.

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